Ci vuole del fegato, e anche tanto, per levarsi in piedi da perfetti sconosciuti in una democrazia occidentale e invocare cose in cui nessuno altro crede – come la pace, la giustizia e la libertà.
Facevo proprio schifo con la bomboletta, così ho cominciato a ritagliare stencil.
Parole di Banksy, l’artista la cui identità resta ancora avvolta nel mistero e che questo documentario in uscita il 26 ottobre (e solo per tre giorni al cinema) tenta di risolvere dando voce alla sottocultura underground che l’ha partorito e al collettivo che, inevitabilmente, lo sta supportando e proteggendo.
Banksy nasce come artista nella scena di Bristol, in Inghilterra agli inizi degli anni ’90, dove un gruppo di graffitisti era già particolarmente attivo. Un gruppo che aveva tra i suoi protagonisti non solo disegnatori ma anche musicisti, come Robert Del Naja già conosciuto come 3D e che più avanti darà vita ai Massive Attack, e poi futuri collezionisti d’arte e critici. Le prime opere di Banksy risalgono al 1990, e da lì in poi la sua arte politicizzata, i suoi epigrammi sovversivi e le sue audaci incursioni hanno oltraggiato l’establishment e creato un nuovo movimento rivoluzionario. I suoi lavori sono divenuti vere e proprie icone del contemporaneo e Banksy è ad oggi lo street artist più famoso e controverso al mondo. Il potere abusato, la povertà, i fondamentalismi politici e religiosi, l’alienazione, la guerra, la violenza e il capitalismo sono al centro delle sue opere.
L’ispirazione viene dai graffiti della New York degli anni ’70, ma è Banksy che trasforma il movimento della Street Art in forma d’arte mainstream mettendo insieme un impero multimilionario e modificando la concezione stessa dell’arte, in un certo senso suo malgrado come il documentario ci dimostra bene.
BANKSY – L’ARTE DELLA RIBELLIONE racconta una storia avvincente e rivelatrice.
“Penso che esistano molte idee sbagliate su Banksy, e il suo anonimato ha molto a che fare con questo – ha dichiarato lo scrittore e regista Elio España (Prince: Slave Trade, Down In The Flood: Bob Dylan, The Band & The Basement Tapes, Robert Plant’s Blue Notes, The Smiths- The Queen is dead) – le persone non pensano a Banksy come a un artista di graffiti, non lo è più, ma le sue origini provengono assolutamente da quel mondo. La sua arte non si estranea dal contesto, lui è il frutto del suo background a Bristol e della cultura e della politica di questo tempo – un periodo particolarmente tumultuoso, ma anche elettrizzante. Ha fatto parte del mondo dei graffiti, è stato un pioniere della Street Art insieme a un certo numero di altre figure importanti, ma Banksy ha completamente cambiato il modo in cui l’opera d’arte viene esposta e venduta. Credo che comprendendo la sua storia, si otterrà anche una comprensione molto più profonda del suo lavoro”
In BANKSY – L’ARTE DELLA RIBELLIONE viene presentato un raro archivio proveniente da collezioni private e interviste inedite. Intervengono il promotore d’arte Steve Lazarides, ex braccio destro di Banksy; l’artista di fama mondiale Ben Eine, uno dei collaboratori più stretti di Banksy; John Nation, che ha gestito il progetto di graffiti in cui è iniziata la storia di Banksy; i famosi street artist Risk, Felix
“Flx” Braun, KET & Scape, oltre a diversi esperti e critici d’arte.
Per chi poi abita a Roma ricordiamo che fino ad Aprile 2021 nello spettacolare Chiostro del Bramante, sui muri progettati dall’architetto Donato Bramante nel 1500 vanno in scena le opere scritte sui muri di Banksy nel 2000, il più importante dei contemporanei, in una sintonia magistrale di antico e moderno.
Ma perchè tutto questo segreto intorno all’identità signor Banksy?
Non so perché le persone siano così entusiaste di rendere pubblici i dettagli della vita privata: l’invisibilità è un superpotere. Non ho il minimo interesse a rivelare la mia identità. Ci sono già abbastanza stronzi pieni di sé che cercano di schiaffarvi il loro brutto muso davanti.
Chapeau.