C’è sempre stato, nella musica di Annalisa, un filo che lega la leggerezza del pop alla ricerca di un senso più profondo. Con “Ma io sono fuoco”, in uscita il 10 ottobre, la cantautrice ligure sembra voler portare questo filo al punto di combustione. Undici canzoni che ruotano attorno a un’idea chiara: il fuoco come simbolo di emozione, cambiamento e identità.
Non è un tema nuovo nella sua scrittura – Annalisa ha sempre mescolato vulnerabilità e controllo, passione e precisione – ma qui l’immagine diventa centrale, quasi ossessiva. Il fuoco è rabbia e rinascita, ma anche lentezza e distruzione, qualcosa che trasforma senza chiedere permesso.
Il disco unisce il pop contemporaneo a sonorità anni Ottanta, con accenti elettronici che ricordano certi modelli internazionali. Il risultato è un suono levigato, costruito con cura e professionalità, dove la voce di Annalisa – sempre limpida, sempre calibrata – cerca di mantenere una tensione emotiva costante. È un equilibrio fragile: a tratti funziona, in altri momenti rischia di sembrare più calcolo che istinto.
Il titolo, “Ma io sono fuoco”, suona come una risposta più che un’affermazione. Come se Annalisa avesse bisogno di ribadire un’identità in un momento in cui il successo – e la popolarità esplosa negli ultimi due anni – rischiano di travolgere la persona dietro l’immagine. La copertina, con la tigre che rimanda alla metafora del tempo di Jorge Luis Borges, è un’estensione visiva di questa idea: il tempo che divora e trasforma, e l’artista che decide di farsi divorare pur di restare viva.
Accanto al disco arriva anche “Art Gallery & Instore”, una serie di eventi in gallerie d’arte tra Milano, Bologna, Torino, Roma, Napoli e Bari. Un progetto che unisce la promozione tradizionale all’estetica curata, in linea con la nuova immagine di Annalisa: quella di un’artista che controlla ogni dettaglio, dalla musica ai visual, fino al modo in cui si mostra al pubblico.
Dopo il successo del tour 2024 – oltre 250 mila biglietti venduti – Annalisa tornerà nei palasport a novembre con “Capitolo I”, una tournée già in parte sold out. Un segno evidente del momento di grazia che sta vivendo, ma anche una prova impegnativa: riuscire a dare spessore e continuità a un successo costruito con disciplina, più che con colpi di genio improvvisi.
Nel disco non mancano collaborazioni significative: Marco Mengoni in “Piazza San Marco”, già in top 10 FIMI, e Paolo Santo in “Avvelenata”. Canzoni ben scritte, levigate, che mostrano la solidità di un’artista che conosce perfettamente il proprio pubblico. Ma è difficile non notare come la perfezione formale rischi, a volte, di soffocare la spontaneità.
Annalisa canta di sé, ma lo fa con una distanza controllata, quasi intellettuale. Il fuoco di cui parla non esplode: brucia lento, senza fumo, come se fosse più un’idea che un sentimento. È una scelta consapevole, forse il segno di una maturità raggiunta. Ma anche il rischio, per chi come lei è ormai un punto fermo del pop italiano, di trasformare l’urgenza in estetica.
“Ma io sono fuoco” è un album coerente, elegante, a tratti intenso. Ma la vera domanda, quella che resta dopo l’ascolto, è se questo fuoco scaldi davvero – o se serva solo a illuminare una figura ormai perfettamente costruita.