Quando guardi a lungo nell’abisso, l’abisso ti guarda dentro. Sono le parole di Friedrich Nietzsche che non possono non rieccheggiare quando siamo davanti alle opere di Alfonso Benadduce. Autore, attore e pittore del quale al mondo non vedo l’eguale.
La mostra presenta dieci dipinti in un muto dialogo con l’Orfeo di Blanchot, un silenzio che divampa in una danza di Gesti occulti che come Orfeo si voltano per guardare Euridice.
Quadri che si contorcono per fissarci, per catturare il nostro sguardo, incredulo di aver guardato. Ed è così che restiamo, sorpresi e lacerati, scavati dai tentacoli, dalle colate di luce brillante e folle, dai vortici aggrovigliati e dai profondi specchi di nero dentro cui ritrovare tutto l’abisso.
Non si sa cosa siano, eppure ci costringono ad esistere tra loro, queste teste specchianti, questi alieni di corda accartocciati, con delle braccine tanto esili da poter solo afferrare il nulla – artigli che annaspano nel vuoto. Meduse piangenti inchiodate al quadro o più spesso dipinti che tentano la fuga dalla loro tela come nel Grande gesto occulto esposto sulla parete in fondo alla navata.
E quando la fuga è svanita, l’opera non può che inghiottire se stessa tra la tristezza e la gioia, nell’ironia ammaliata dalla tragedia di un’arte sulla quale ridere e insieme piangere, nella potenza di un segno che si appaga della sua sconfitta e che rinasce di continuo come un’idra a sette teste. Un gesto occulto che emerge dal suo scomparire.
Casa delle Letterature,
Piazza dell’Orologio, 3 – Roma
ingresso libero dal lunedì al venerdì dalle 9,30 alle 18,30