Durante la festa palermitana di santa Rosalia, il boss della mafia italiana, Tommaso Buscetta, interpretato da Pierfrancesco Favino, chiede al suo vecchio amico e compagno di mafia Giuseppe “Pippo” Calò (Fabrizio Ferracane) di occuparsi dei suoi figli. Parte per il Brasile, sperando di cambiare vita con la sua nuova moglie Cristina (Maria Fernanda Cândido). Inizia così “Il Traditore” di Marco Bellocchio, dramma intimista sul più famoso pentito di mafia della storia patria, presentato in concorso al 72esimo Festival di Cannes. La pace in Brasile è interrotta dalle notizie di morte che arrivano dall’Italia. La guerra tra i boss legati alle cosche palermitane e i corleonesi, guidati da Totò Riina, sta lasciando una scia di sangue. Tra le vittime, i figli di Buscetta e molti suoi ex compagni di malaffare. Estradato in Italia, Don Masino decide di collaborare con il giudice Falcone (Fausto Russo Alesi) e rilascia una confessione di 487 pagine piene di nomi, cognomi, abomini e complicità, in grado di metter in ginocchio Cosa Nostra, che come spiega Buscetta, è il vero nome dell’organizzazione, perché: “La mafia non esiste. È un’invenzione della stampa”.
Le scene in aula durante il “maxi processo” hanno gli echi della tragedia greca con i mafiosi ululanti come animali in gabbia che sputano imprecazioni e volgarità di ogni sorta. Mentre la drammatica colonna sonora degli strumenti a corda firmata da Nicola Piovani conferisce un effetto lirico alla scena dei confronti a due tra Buscetta e i suoi ex “colleghi”. Tuttavia, gran parte del successo di Il Traditore fa affidamento sulla prestazione di Favino. Noto per le sue apparizioni in innumerevoli ruoli secondari in produzioni hollywoodiane come “World War Z” e “The Catcher Was a Spy”, l’attore romano offre una performance carismatica e accattivante del suo personaggio mettendone in luce le contraddizioni e le ambiguità. Bellocchio oscilla tra due poli estremi. Se da una parte vediamo un soldato della “vecchia mafia”, narcisista e donnaiolo, che collabora con la giustizia perché non gli rimane altra scelta, dall’altra emerge la figura di un padre dilaniato dai sensi di colpa in cerca di vendetta contro coloro che hanno ucciso i suoi amici e la sua famiglia. In questo modo, il pubblico rimane in una certa misura affascinato dal personaggio di Buscetta. Complicato stabilire insomma un confine tra l’uomo e il boss, espediente che consente al regista di lasciare sospesi molti interrogativi sui reali motivi che hanno spinto Buscetta a tradire Cosa Nostra. Se Favino ostenta un’espressione impassibile dove le preoccupazioni si nascondono tra le pieghe del suo viso, Totuccio Contorno, (altro famoso pentito di mafia), bravissimo Luigi Lo Cascio, replica con fervore alle provocazioni dei mafiosi rinchiusi nelle gabbie del tribunale.
Il film, al cinema dal 23 maggio, è invece deludente nella rappresentazione dei personaggi femminili. Sembra che Bellocchio cerchi di rimanere fedele al cosiddetto codice d’onore della mafia, un compendio del più assoluto machismo promosso nei circoli di Cosa Nostra. Le donne – sorelle, mogli, in particolare Cristina – sono viste soprattutto come oggetti sessuali. Come dimostra la scena, di cui non si capisce il senso, in cui Cristina si masturba al telefono con un saudade Buscetta. Bellocchio ci vuole forse suggerire che è quello il momento in cui decide di diventare un informatore della magistratura?
Anche se Bellocchio romanticizza l’antico onore di Cosa Nostra e Buscetta con esso, “Il Traditore”, venduto in oltre 24 paesi nel mondo, tra cui gli Stati Uniti, è una storia di crimine e tradimento su un uomo che è stato capace di lasciare la mafia, ma che ha vissuto il resto della sua vita da esule con la paranoia di venir ucciso, perché la mafia non dimentica.
Il traditore di MarcoBellocchio PierfrancescoFavino . Foto di Lia Pasqualino