Quasi nessuno siede alle prime due file riservate agli ospiti nella sala Astra del cinema Anteo. Sul grande schermo Serena Rossi interpreta Mia Martini. A film già iniziato, sulla scena in cui Mia-Rossi prova ‘Piccolo uomo’, il primo grande successo del‘72, qualcuno entra in sala. Non disturba. È il regista, Riccardo Donna. Non si accomoda. Appoggia la schiena alla parete e osserva la platea, poi volge lo sguardo allo schermo. Una, due, tre volte. Esce di nuovo. Nella sala, il silenzio dell’attenzione e dell’emozione si appiccica alle gote. I labiali, morbidi, ripetono strofe conosciute e ai titoli di coda si prende fiato; c’è chi strofina, con il dorso della mano, le guance rosse di commozione. A chi scrive viene in mente un pomeriggio di 23 anni fa. Era il 1995 e alle 16:30, quasi in sincrono, molte radio italiane mandarono on air Almeno tu nell’universo. Fu l’abbraccio di commiato a quell’esile donna, Mia Martini, scomparsa prematuramente all’età di 46 anni.
Io sono Mia è il biopic che restituisce un ritratto gentile e pieno della donna e dell’artista Mia Martini. Prodotto da Eliseo Fiction, in collaborazione con Rai Fiction, diretto da Riccardo Donna e scritto da Monica Rametta, il film ha tre date in proiezione nelle sale cinematografiche: 14-15-16 gennaio. Su RaiUno e su RaiPlay verrà trasmesso a febbraio, dopo le cinque serate dedicate al Festival di Sanremo, la kermesse musicale che, per altrui cialtroneria, Mia Martini non vinse mai. È la stessa Loredana Bertè, durante la partecipata conferenza stampa, a raccontare un aneddoto che risalirebbe al Sanremo dell’89: ‘Ad un Sanremo chi organizzò il festival fece una sorta di contratto segreto con una persona molto vicina a Mimì, di sua fiducia. La paura che crollasse il teatro era tanta. Ci volle un garante seduto in prima fila durante la sua esibizione. Il teatro, ovviamente, non crollò’. Mia Martini non vinse quel Sanremo, ma con Almeno tu nell’universo, quell’interprete internazionale di rara bravura, rispose alla grettezza con l’eleganza atipica che la contraddistinse fin dagli esordi e fu un successo.
Non entreremo qui nel merito di dichiarazioni, polemiche e successive smentite fatte dallo stesso Adriano Aragozzini su Il Fatto Quotidiano, con parole peraltro già ascoltate nel 1995, in una telefonata andata in onda al TG5, denuncianti il clima di violento ostracismo nei confronti di Mia da parte di colleghi, case discografiche e manager. Quanto viene fuori, al di là delle responsabilità oggettive e soggettive, è un desolante ritratto del mondo dello spettacolo in cui una donna di grande talento, con un’identità forte ed personalità integra, fu sporcata e maltrattata per una maldicenza che la costrinse all’angolo a più riprese.
Come l’artista abbia trovato ogni volta la forza di risplendere nella sua voce, dopo gli inciampi nell’ignoranza, nel dolore di un amore contrastato, è la traccia narrativa intorno al quale il film si sviluppa su una sequenza ordinata di flash back, rielaborati in prima persona dalla protagonista.
Il film restituisce così l’immagine di una donna determinata e fragile, sola ma mai in debito di dignità e per questo libera. La volontà di restituire a Mia Martini quel posto d’onore sottrattole in vita è corale. Lo si legge negli occhi lucidi di Serena Rossi che con cordialità non si sottrae alle domande. Interprete eccellente, veste i panni di Mia con generosità e arriva all’appuntamento con un’interpretazione difficile su di un doppio registro: vestire quel carattere introverso, inconciliabile e nello stesso tempo prestare la propria voce a testi di canzoni indelebilmente legate ad un timbro e ad una gestualità sofisticati e potenti. ‘È stato un dono – ci racconta Serena Rossi – Un regalo unico. È stato difficile. Ho dovuto dimenticare quella che sono. Il modo in cui cammino, il modo in cui io rido. Ho dovuto annullare anche degli aspetti di me minuscoli, secondari, di quando ci si trova magari in imbarazzo. Ho dovuto resettare tutto e diventare un tela bianca. È stato un percorso di ricerca e di preparazione lungo. Ho trascorso ore ad ascoltare interviste. A leggere di biografie. Ogni dettaglio acquisito lo ricollocavo. Cercavo di inserirlo nelle scene. L’ho fatto per me, ma ho cercato di aiutare anche i miei compagni che magari avevano avuto meno tempo per prepararsi. Ho condiviso con loro aspetti di Mia che magari non conoscevano. Ci tenevo al fatto che potessero entrare il più possibile in contatto con la persona che dovevamo portare in scena. Interpretare una donna così è stato totalizzante. Ho sofferto, ma è una sofferenza che riproverei mille volte, perché si è trattato di un privilegio. Un lusso. Ho patito ed ho gioito, le ho dato tutto quello che potevo. Con il cuore.’