Nel cuore di un teatro millenario affacciato sul silenzio del Mediterraneo, il mito si fa presente. Con Ifigenia, tragedia riscritta da Silvia Zarco e diretta da Eva Romero, si chiude la prima edizione del Teatro Ostia Antica Festival (25–26 luglio), una rassegna che ha voluto intrecciare tradizione e contemporaneità, scegliendo il linguaggio classico come veicolo per affrontare alcune delle urgenze più brucianti del nostro tempo.
La produzione è frutto di un’importante collaborazione tra Teatro di Roma e il Festival Internacional de Teatro Clásico de Mérida, tra le realtà più prestigiose d’Europa nella riscoperta e rilettura del repertorio antico. In scena, una compagnia interamente spagnola, guidata da attrici e attori noti come María Garralón (Ecuba), Juanjo Artero (Agamennone), Laura Moreira (Ifigenia), e Nuria Cuadrado (Polissena), per una messinscena in lingua originale con sovratitoli in italiano.
Ma Ifigenia non è solo una tragedia della classicità, è un’opera che si interroga – attraverso le parole e i corpi – sul sacrificio femminile come fondamento della storia. “Mia figlia sta arrivando con il suo abito da sposa e io la ucciderò” è la frase che secondo Romero racchiude tutto il senso dello spettacolo. Il gesto di Agamennone, che condanna la propria figlia per ottenere vento favorevole verso Troia, risuona come l’archetipo di una lunga genealogia di violenza. L’antico mito di Euripide si fonde qui con echi da Ecuba e Agamennone, per dare voce a una riflessione sulle dinamiche di potere, il silenzio delle vittime, e il costo della gloria maschile.

Foto: Jorge Armestar
Con grande rigore formale – grazie alle scene di Elisa Sanz, alle luci di Rubén Camacho e alla musica originale di Isabel Romero – lo spettacolo costruisce un ponte tra Grecia antica e mondo contemporaneo, ribaltando la retorica eroica per restituire centralità all’esperienza delle donne. Non solo Ifigenia, dunque, ma anche Polissena, figlia di Ecuba, altra vittima sacrificale alla fine della guerra: il doppio sacrificio diventa metafora collettiva, un invito a interrogarsi su quanto ancora del nostro presente sia edificato su una violenza storicamente normalizzata.
Il merito di Eva Romero – regista sensibile alla giustizia di genere, già nota in Spagna per l’uso politico del mito – è quello di non schiacciare il testo sull’attualità, ma di lasciare che il dramma emergente si insinui lentamente sotto la pelle dello spettatore. Il risultato è una Ifigenia che parla più con il sottotesto che con il proclama, e che restituisce alla tragedia greca la sua funzione civile.
Così il festival chiude il sipario con un progetto internazionale che non si limita a rendere omaggio al teatro antico, ma lo riattiva, lo interroga, lo reinventa. Ifigenia diventa il simbolo di una possibile alleanza culturale tra Mediterranei, dove l’arte, attraversando il tempo, diventa specchio e coscienza.