La scena si apre su un giorno come tanti. Donna, sola, si muove con gesti calibrati, parole misurate, sorrisi meccanici. Il mondo che ha costruito è fatto di piccole routine, frasi già sentite, sentimenti mai vissuti davvero. La sua vita è un copione che recita alla perfezione, senza sbavature, senza margini d’imprevisto. Ma basterà una crepa, un evento inatteso, per mandare tutto in frantumi.
Dal 13 al 16 marzo 2025, lo Spazio Diamante ospita Giorni Infelici, spettacolo scritto e interpretato da Sabrina Scuccimarra, con la regia di Martino D’Amico e le musiche di Gioacchino Balistreri. La produzione è firmata Tiezzi – Compagnia Lombardi/Tiezzi, in collaborazione con l’Associazione Culturale Padiglione Ludwig. Venerdì 14 marzo, dopo lo spettacolo, il pubblico avrà l’occasione di partecipare a un incontro moderato dal critico teatrale Andrea Pocosgnich.
Donna vive in una gabbia dorata, fatta di abitudini ripetute fino allo sfinimento. Ogni giornata è identica alla precedente: stessi gesti, stesse frasi, stessi sorrisi. È un equilibrio precario, che si regge su fondamenta fragili, eppure solidificate dal tempo. Nulla deve deviare dal tracciato. L’inaspettato, il fuori copione, è un pericolo che va evitato a ogni costo. Eppure, un imprevisto arriva. Una “vicina” irrompe nel suo mondo chiuso, portando con sé il caos, il dubbio, la necessità di cambiare. Ma si può davvero riscrivere un finale già scritto?
La regia di Martino D’Amico guida lo spettatore attraverso un percorso che somiglia a una danza ipnotica tra coscienza e abitudine. Giorni Infelici non è solo la storia di una donna, ma una riflessione più ampia sul nostro modo di vivere, sulle maschere che indossiamo, sulla rassicurante prigione che costruiamo attorno a noi stessi. Il testo, che strizza l’occhio a Giorni Felici di Samuel Beckett, non vuole essere un omaggio, né una continuazione, ma un’indagine su un altro aspetto della stessa condizione umana: il bisogno di rimanere aggrappati a una routine che ci rassicura, anche quando ci soffoca.
Ci si commuove, si ride, ci si ritrova. Donna non è un’eroina tragica, ma una figura che appartiene a tutti noi. Il suo continuo autoinganno, la sua illusione di essere padrona della propria esistenza, sono specchi in cui riconosciamo le nostre stesse paure. Il paradosso è che proprio questa lotta disperata per mantenere intatta la sua realtà genera momenti di comicità involontaria, situazioni in cui l’umorismo e la tragedia si intrecciano, creando un effetto spiazzante.
Alla fine, il castello di carte si sgretola. Donna è costretta a fare i conti con qualcosa che non aveva previsto. Il sipario cala su una domanda che resta sospesa: è davvero possibile cambiare, o siamo destinati a recitare per sempre lo stesso copione?