La nuova serie Dostoevskij, firmata dai fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo, è Una sorta di specchio oscuro in cui i riflessi che vediamo ci inquietano, ma al contempo ci attirano con una forza irresistibile. L’investigatore Enzo Vitello, interpretato da un magistrale Filippo Timi, incarna questa tensione: un uomo tormentato dal passato, alle prese con il proprio abisso interiore, e un serial killer che, nelle sue lettere, svela una filosofia crudele e insieme poetica. I fratelli D’Innocenzo, già acclamati per le loro opere cinematografiche come La terra dell’abbastanza e Favolacce, si dimostrano ancora una volta maestri nell’arte del contrasto.
Il loro linguaggio visivo è un affresco di ombre e luci, dove il bello e il brutto, il sublime e l’orrendo si fondono in una danza ipnotica. “C’è un filo sottile e tagliente che attraversa il nostro lavoro: l’urgenza di raccontare l’essere umano nella sua complessità, senza sconti, senza scorciatoie”, dicono i due registi. “Dostoevskij è il frutto di anni di riflessione su ciò che ci spinge a creare, a scrivere, a filmare. Non è solo una storia di caccia a un serial killer; è un viaggio profondo e viscerale nell’origine della violenza, nelle sue radici e nelle sue inevitabili ramificazioni”.
La provincia italiana, carnale e crepuscolare, è un microcosmo perfetto per raccontare questa storia: un luogo dove la vita pulsa forte, ma si scontra costantemente con i limiti imposti dal contesto, dai ricordi e dalle scelte. “Quando abbiamo iniziato a concepire il progetto sapevamo che non sarebbe stato facile. È una serie che non si accontenta di raccontare il male, ma si interroga su di esso. Da dove nasce? Come si manifesta? E, soprattutto, come lo affrontiamo? In un certo senso, non volevamo solo creare un thriller: desideravamo un’opera che scavasse nel tessuto stesso della società, esplorando i contrasti che definiscono l’essere umano”.
Dostoevskij è un’opera che non cerca di semplificare. Il protagonista, Vitello, è il fulcro di questa complessità. È un uomo tormentato, solo, spezzato, che deve affrontare non solo un assassino enigmatico, ma anche i propri demoni. “Il rapporto tra Vitello e Dostoevskij, il killer, è una danza pericolosa e ipnotica. Volevamo creare un legame che fosse più di un semplice inseguimento; volevamo una relazione che riflettesse le ambiguità dell’esistenza, il confine labile tra il bene e il male, tra il giusto e lo sbagliato”.
La giovane Ambra Vitello – interpretata da Carlotta Gamba – a spiccare come emblema della fragilità e della ribellione umana. Una giovane donna intrappolata in un presente da cancellare, che incarna con forza disarmante il tema della redenzione, o forse della sua impossibilità.
Non è un caso che Dostoevskij arrivi in un momento storico in cui il tempo sembra frantumarsi in frammenti digitali e l’attenzione è una risorsa rara. Questa serie, invece, invita a rallentare, a riflettere, a guardare dentro e fuori di sé. È un atto romantico, come lo definiscono gli stessi autori, e insieme una sfida al caos della modernità. Piegano i fratelli D’Innocenzo: “Abbiamo scelto di girare in pellicola perché crediamo che il cinema abbia un’anima, un calore che si può percepire solo attraverso la materia. Ogni fotogramma di questa serie è stato pensato, costruito, vissuto. È un’opera che si nutre dei dettagli, delle sfumature, delle imperfezioni”.
La domanda al centro di “Dostoevskij” non è semplicemente “chi è il colpevole?”, ma “da dove nasce il male?” È un interrogativo che riecheggia nella letteratura, nella filosofia, e ora in questa serie che si presenta come una meditazione visiva sulla natura umana.
Disponibile dal 27 novembre su Sky e NOW, con tutti gli episodi in streaming, e accompagnata da un volume con sceneggiatura e storyboard edito da La Nave di Teseo, Dostoevskij è un manifesto di un cinema che non ha paura di sporcarsi le mani, di guardare oltre la superficie e di raccontare, con intensità e coraggio, l’essenza dell’essere umano.