Nel silenzio solenne che precede un commiato, là dove si raccolgono le voci dei morti e dei vivi, cinque donne alzano il capo una volta ancora. Un’ultima cosa di Concita De Gregorio per a regia di Teresa Ludovico, è un incontro tra parola e memoria, tra la vita e quel momento finale che, spesso, rivela verità rimaste nascoste troppo a lungo. Al centro di questa rappresentazione, cinque figure femminili — Dora Maar, Amelia Rosselli, Carol Rama, Vivian Maier e Lisetta Carmi — si riprendono la scena, quella scena che, nella vita, è stata spesso loro negata.
Un’orazione funebre che si ribella al silenzio, una invettiva, un atto di giustizia poetica. Queste donne non parlano da vittime, ma da protagoniste. In vita, sono state spesso ingiustamente relegate ai margini, ridotte a comprimarie di storie dominate da uomini o da contesti che non ne hanno mai davvero riconosciuto la grandezza. Dora Maar, musa di Picasso e grande artista a sua volta, Amelia Rosselli, poetessa di un lirismo tragico e visionario, Carol Rama, pittrice ribelle che sfidò i limiti dell’arte tradizionale, Vivian Maier, fotografa geniale scoperta solo postuma, e Lisetta Carmi, pioniera della fotografia sociale: cinque donne che, con linguaggi diversi, hanno attraversato il secolo scorso con una potenza che il tempo ha tardato a riconoscere.
De Gregorio ricompone i frammenti delle loro vite, li assembla, li riveste di parole che sono le loro stesse parole, estratte da lettere, diari, poesie, scritti intimi. E in questa liturgia funebre, sono le stesse protagoniste a parlare di sé, a raccontare il loro percorso, le loro sofferenze, le loro scoperte. Non si tratta di una celebrazione sterile, ma di una restituzione della loro voce, forte, vibrante, veemente. Sono invettive, perché queste donne non sono qui per scusarsi, ma per dire una verità scomoda, per esigere quel posto che la vita, il mondo, e a volte persino il loro tempo, ha faticato a concedere.
Concita De Gregorio si immerge in queste voci come se fossero le sue. Ha studiato, ha scavato, fino a percepire quasi fisicamente la presenza di queste donne accanto a lei. Le ha riportate alla luce, trasformando il dolore, l’ombra e l’oblio che le hanno accompagnate in vita in una luce radiosa e definitiva, che il teatro rende ancora più viva. Perché, proprio come un’orazione funebre, questo spettacolo è l’atto finale che chiude il cerchio, restituendo dignità, ma anche rabbia, alla loro storia.
La musica dal vivo di Erica Mou, giovane cantautrice pugliese, vuole farsi eco e contrappunto ai testi di De Gregorio. Il dialogo tra le parole di Concita De Gregorio e le melodie di Erica Mou è un gioco delicato, quasi rituale, in cui le voci delle donne tornano a vivere, a vibrare, mentre intorno a loro le luci disegnano figure immaginarie, spazi intimi che diventano pubblici, verità nascoste che si manifestano per la prima volta. È qui che avviene il miracolo: Dora, Amelia, Carol, Vivian e Lisetta entrano in scena per raccontare la loro ultima verità, come se potessero tornare indietro di un attimo, voltarsi verso il pubblico e dire: “Aspettate, ho ancora una cosa da dire”.
Lo spettacolo Un’Ultima Cosa di Concita De Gregorio andrà in scena alla Sala Umberto di Roma dal 9 al 13 ottobre 2024.