Vulnerabilità. E’ la parola che usano sia Angelina Jolie che Pablo Larraìn, il regista cileno alle prese con un altro biopic, per descrivere il sentimento che li ha uniti alla Diva, l’unica, Maria Callas.
La grandezza finita, l’amore perduto, il vuoto e il senso di disappartenenza alle cose del mondo. “Un po’ quello che è accaduto anche a me per i motivi che conoscete e per altri che non rivelerò certo in questa sala” ha detto la Jolie in conferenza stampa, ma non è difficile immaginare che il mondo di una Diva sia simile, seppure trasportato in epoche differenti.
C’è un Pablo Larrain dalla mano dolce, con uno sguardo quasi paterno sulle vicende terrene di quest’anima in pena, sostituendosi anche lui a quel padre che Maria non ha mai avuto e che ha tentato di rimpiazzare con l’amore per Aristotele Onassis, l’unico che le abbia veramente spezzato il cuore.
Inutile negare che “Maria” il film in concorso a Venezia81 è candidato ad almeno tre premi, miglior sceneggiatura originale, miglior regia (e sarebbe ora, Larrain a mio parere meriterebbe già il Leone d’oro alla Carriera, uno dei più talentuosi della sua generazione) e, naturalmente, miglior performance attoriale.
Non è nemmeno il caso di entrare nella trama che ognuno indagherà per sé stesso, la storia è arcinota, le vulnerabilità invece no.
L’importanza di questa narrazione è il taglio tutto parigino, dove una Callas in preda a visioni, pastiglie, indicibili mali dell’anima, si chiude dentro le mura di un appartamento cercando di capire il suo senso nella vita ora che tutto è perduto, circondata dall’affetto della famiglia fittizia che si è ricreata.
I suoi fedeli aiutanti Ferruccio, ancora vivente (Pierfrancesco Favino) e Bruna (Alba Rohrwacher), le uniche persone che hanno condiviso prima con la Diva e poi con Maria l’ascesa e la caduta di una donna che poteva avere tutto ed è rimasta prigioniera del suo cuore ancora prima che della sua voce.
Quella stessa melodia che, in un ultimo disperato canto del cigno, tenta di riprendere, non tanto per esibirsi di nuovo sul palcoscenico, quanto per riallacciare una sorta di dialogo con sè stessa, riprendersi forse il rispetto di sé.
Come se senza la sua “voce” non fosse più nulla. “Chiudi la porta, vai avanti, hai 53 anni, puoi ancora fare tantissimo” le dice la sorella arrivata dalla Grecia.
Ma per chi non è stata una Diva, che come spiega brillantemente Larrain, “è qualcuno che eccelle in quel che fa e non può tollerare di non saperlo farlo più” , è quasi impossibile capire che quella porta non si può chiudere. Semmai si può riaprire solo per morirci dentro.
“Eppure un tentativo per tornare l’ha fatto” spiega ancora Angelina Jolie, “ma i critici sono stati tremendi, cattivissimi, l’hanno stroncata. A volte non si capisce quanta fragilità ci sia dietro la grandezza”.
Il messaggio è arrivato, forte e chiaro.