Una nuova proposta della Fondazione Alda Fendi con tema Venezia.
Nella rhinoceros gallery di palazzo rhinoceros a Roma, con la linea artistica di Raffaele Curi, arriva un’esperienza visionaria sin dall’esterno del palazzo dove, grazie a una grande proiezione, i visitatori entrano immergendosi nel mare.
L’incanto di Venezia, città antica e futuribile, sacra e licenziosa, ammalia Roma con Vogia de carnoval, l’esperimento espositivo realizzato grazie ai contenuti forniti dalla Fondazione Querini Stampalia di Venezia, che si può visitare dal 15 dicembre al 30 aprile con ingresso gratuito in via del Velabro 9A, negli spazi di rhinoceros, il polo culturale affacciato sull’Arco di Giano, ideato da Alda Fendi e progettato da Jean Nouvel.
Dopo il Pollaiuolo degli Uffizi, il Michelangelo, El Greco e il Picasso dell’Ermitage e il Picasso delle Collezioni Intesa San Paolo, la Fondazione Alda Fendi – Esperimenti si immerge in un sogno a occhi aperti su Venezia, ricco di suggestioni variegate, orchestrate in un crescendo volto a evocare il ruolo di crocevia di culture che la Serenissima ha ricoperto nella storia e nell’immaginario collettivo.
Protagonista di Vogia de carnoval è la scrittrice iraniana Azar Nafisi, autrice del bestseller Leggere Lolita a Teheran (Adelphi), con un’intervista in esclusiva girata all’interno di rhinoceros e ambientata in una preziosa scenografia di San Marco a Venezia. Nell’intervista, che il pubblico può ascoltare all’interno del percorso espositivo, Azar Nafisi parla del suo rapporto privilegiato con Venezia, soffermandosi su un quadro di Tintoretto: L’Annunciazione. La scrittrice pensa alla Vergine come vittima di uno stupro, portando all’interno della mostra il tema delle proteste in Iran. Azar Nafisi e Alda Fendi: protagoniste del femminile contro ogni violenza.
DAL MOSE A GIOVANNI BELLINI, PASSANDO PER GOLDONI
Nella fantasticheria di un carnevale permanente immaginata da Raffaele Curi, che non segue le logiche dei calendari e l’avvicendarsi delle stagioni ma abita un tempo eccezionale (anche se storicamente il Carnevale iniziava a Venezia il 27 dicembre!), tutto è possibile: persino immergersi nel mare rimanendo perfettamente asciutti. Così avviene all’ingresso di rhinoceros, grazie a una proiezione che avvolge l’edificio nelle onde, senza bagnare il pubblico. È la stessa magia che fa il Mose, il MOdulo Sperimentale Elettromeccanico che, azionando un sistema di dighe mobili, mette in salvo Venezia dall’acqua alta, un’opera ingegneristica applaudita in tutto il mondo per la sua efficacia. Il Mose è protagonista artisticamente anche all’interno del palazzo: all’inizio del percorso espositivo una videoinstallazione lo vede danzare sulle note della Cenerentola di Gioacchino Rossini, in una perfetta corrispondenza tra gli alti e i bassi rossiniani e il flusso delle maree. Il mare culla il desiderio di un carnevale fuori stagione e, dai progressi tecnologici del presente, si passa ai fasti della Venezia del passato, per poi proiettarsi verso l’arte del futuro.
Un omaggio a Carlo Goldoni, disseminato su tutti i livelli espositivi del palazzo, risuona di echi felliniani. Da una parte i titoli delle commedie del drammaturgo diventano oggetto di un’installazione sonora che fa rimbalzare sulle pareti l’arcobaleno dei colori dell’abito di Arlecchino, mentre risuonano le voci della commedia Una delle ultime sere di Carnovale, dall’altra viene proiettata la sequenza della bambola meccanica tratta dal Casanova di Federico Fellini, con la musica di Nino Rota che riempie l’ambiente. La visione del volto di Donald Sutherland, protagonista della pellicola del 1976, si moltiplica in modo prospettico nell’installazione all’interno del cavedio nero.
Finzione o realtà? Originale o copia? Le domande risuonano lungo il percorso espositivo immaginato da Raffaele Curi. Il cuore dell’esperimento è la citazione della grande tradizione pittorica veneta con le opere della Fondazione Querini Stampalia. Dopo gli Uffizi, la National Gallery, la Pinacoteca di Brera e la Galleria nazionale delle Marche, rhinoceros gallery per la prima volta a Roma porta un DAW®, ovvero un Digital Artwork realizzato da Cinello su suo brevetto. Si tratta di una tecnologia innovativa che riproduce un dipinto antico creando allo stesso tempo una nuova opera digitale originale. Il visitatore ammira la Presentazione al Tempio dipinta nel 1460 da Giovanni Bellini e custodita dalla fondazione veneziana. “Io son colei che mi si crede”, recita intorno al DAW® la voce di Rossella Falk: una battuta di Così è (se vi pare). La rhinoceros gallery abbraccia la sfida del digitale e delle nuove tecnologie che amplificano le possibilità dell’opera d’arte. In questo gioco che porta il visitatore dentro e fuori le dimensioni del sogno e dell’illusione, in un continuo interscambio tra la realtà e il suo doppio, tra la copia e l’originale, si mettono a confronto la Presentazione al Tempio di Bellini con l’opera dello stesso soggetto dipinta nel 1455 dal cognato Andrea Mantegna, conservata alla Gemäldegalerie di Berlino. L’incantesimo lagunare prosegue, ai piani superiori, con le vedute di Gabriel Bella e le scene veneziane di Pietro Longhi, fino ad arrivare alla terrazza panoramica che ricorda ai visitatori di essere invece al centro di Roma.
BLACK VENICE E IL DRAMMA DEGLI SBARCHI
In occasione dell’inaugurazione della mostra, rhinoceros gallery ospita BLACK VENICE, un’action di Raffaele Curi. Utilizzando gli strumenti della meraviglia e del sogno, il pubblico è portato a fare una riflessione attualissima sulla negritudine e sulla presenza dell’altro nella società contemporanea. Al centro dello spazio espositivo campeggia il grande rinoceronte ideato da Curi (già finalista per il Compasso d’oro nel 2020); sul suo dorso è seduta una dama abbigliata con un abito settecentesco, immobile come una statua, evocante il celebre dipinto Il rinoceronte di Pietro Longhi del 1751 di Ca’ Rezzonico.
Le spalle della dama sono coperte da un foglio termico. La performer è una naufraga contemporanea e insieme la Madonna di una bizzarra fuga in Egitto. Con questa immagine evocativa, l’oro della pittura sacra si fa umanissimo e parla dell’attualità e delle sue urgenze. I ruoli sono tuttavia invertiti: è una personificazione muliebre dell’Occidente a essere soccorsa e aiutata da chi oggi invece si trova a chiedere aiuto. Intorno alla dama agisce infatti una figura maschile di pelle nera con un turbante in testa (Re? Veggente? Mago? O esclusivamente sostegno?), senza mai sfiorarla e senza parlare. In silenzio, per tutta la sera il performer è intento a tracciare dei segni per terra: sono simboli di compartecipazione e solidarietà. Mentre il sortilegio si va compiendo, nello spazio si diffonde l’overture dell’Otello di Gioacchino Rossini, inframezzata da una citazione dall’Otello William Shakespeare che incomincia con le parole: “Il moro di Venezia è franco e leale”. Dopo l’inaugurazione, dell’action rimangono solo gli elementi inanimati e il pubblico si trova davanti a un’installazione con il rinoceronte, la coperta termica sul suo dorso e i simboli tracciati per terra.
È Venezia con la sua storia e l’insurrezione gioiosa del suo carnevale a offrire una chiave di lettura importante per i temi dell’accoglienza e della multiculturalità che si fanno pressanti nelle società occidentali contemporanee. Sin dal primo Rinascimento, nell’iconografia della pittura veneziana sono presenti mori, moretti e africani di pelle nera, come testimoniano gli studi di Giovanna Nepi Scirè, già Soprintendente speciale per il Polo Museale Veneziano. Siamo di fronte a persone integrate nella cultura e nella società veneziana, come la balia che Lorenzo Lotto nel 1523 colloca nella pala di Santa Lucia di fronte al tiranno Pascasio o il giovane paggio con una raffinata veste a strisce che Tiziano ritrae al fianco di Laura Dianti. Non solo schiavi o servitori, possono anche essere ambasciatori presso la Repubblica di Venezia, come il protagonista del Ritratto di Moro dalla bottega di Domenico Tintoretto, vestito all’europea, con un plico di lettere alla sua destra che allude al suo ruolo diplomatico. Senza dimenticare l’Otello shakespeariano. Nel Settecento poi “nero è bello”, come recita il titolo di una mostra tenuta ad Amsterdam nel 2008 e come testimoniano la splendida allegoria dell’Africa di Rosalba Carriera e numerose opere di Giambattista Tiepolo. Il paggio di colore diventa nel Settecento uno status symbol che, con il fasto della sua divisa, sanciva la ricchezza e il prestigio dei proprietari. Così lo ritroviamo nel dipinto La lettera del moro di Pietro Longhi, vestito con un’elegantissima marsina rossa bordata di pelliccia, mentre consegna una missiva a una dama. Queste figure di un altro tempo si specchiano negli sguardi delle persone che incontriamo ogni giorno per strada e sono il punto di partenza di una riflessione sul presente, mescolando i segni dell’arte con i temi dell’attualità più incalzante.
La Fondazione Alda Fendi – Esperimenti porta Venezia a Roma. Venezia multiculturale, con la sua storia ci insegna l’apertura nei confronti dell’altro e la convivenza fra i popoli. Venezia misteriosa, con le sue maschere ci invita ad abitare un carnevale senza tempo.
Alda Fendi
Nei mesi della mostra rhinoceros gallery ospita un caleidoscopio di ricordi letterari, pittorici, cinematografici; immagini performative e la proposta rivoluzionaria di un’arte antica che, attraverso la tecnologia, si fa contemporanea.
Alessia Caruso Fendi
Nigra sum sed formosa. Il Cantico dei Cantici risuona in Black Venice in un’armonia dorata tra la quiete e il suo doppio – labirintico o soave?
Raffale Curi