Il regista Adi Arbel evita tutte le insidie dei documentari convenzionali sugli scrittori semplicemente lasciando che Grossman sia se stesso. Il film della regista Ari Abdel, mescola interviste con filmati girati durante un incontro dello scrittore con molti suoi traduttori venuti da tutto il mondo. ” Questa e’ stata l’occasione per seguire Grossman mentre in una zona rurale della Croazia si trova a fare ricerche per fare ricerche per il suo libro More Than I Love My Life” racconta la regista. La parte centrale del lavoro si concentra su alcune interviste congiunte con lui e la moglie.
“Anche se lo spettatore ha letto molto su Grossman, continua Abdel, un aspetto del documentario che non troveranno altrove è l’opportunità di ascoltarlo mentre legge le sue stesse opere, cosa che fa con grande eloquenza”. Un lavoro diverso dai soliti documentario biografici. “Ho deciso di mostrate le virtú dello scrittore, tributi che così spesso aggiungono poco a ciò che gli spettatori già sanno – ho voluto che Grossman parlasse delle connessioni inestricabili tra la sua vita e il suo lavoro”
Sebbene ci siano molti illustri scrittori israeliani, Grossman è forse l’autore più apprezzato di Israele, il cui lavoro decolla in direzioni imprevedibili. I suoi libri sono unicamente israeliani ma hanno toccato i lettori di tutto il mondo. Sono stati tradotti in dozzine di lingue e nel 2017 ha ricevuto il Man Booker International Prize (insieme alla sua traduttrice, Jessica Cohen) per il suo romanzo A Horse Walks Into a Bar. “Apparentemente, i contorni della sua vita suonano ordinari, ma come mostro nel documentario, le sue percezioni della vita e il modo in cui le ha utilizzate nella sua scrittura sono straordinari”
Ascoltiamo Grossman racconta di come ha scoperto il suo legame con il passato ebraico attraverso la lettura di Sholem Aleichem. Della sua consapevolezza della morte in tenera età e di come l’abbia sconvolto, ma anche spinto a scrivere. Sebbene fosse sempre attratto dalla scrittura avere una famiglia spesso lo spingeva fuori da quella zona di comfort. Nelle foto di lui in viaggio ed escursioni con i suoi figli piccoli, si siede spesso e scrive, a volte usando il suo cappello da sole come scrivania.
“Girare questo film ha cambiato la mia percezione della morte. La parte più triste ma anche avvincente è quando lui, a volte da solo e a volte con la moglie, parla della morte di suo figlio Uri. verso la fine della seconda guerra del Libano nel 2006. Aveva quasi finito di scrivere un romanzo su una donna che parte per un viaggio per evitare di ricevere la notizia della morte del figlio soldato che lei è sicura che sarebbe arrivata”.