Nomadland, il film di Chloé Zhao, vincitore del Leone d’Oro alla 77esima edizione del Festival di Venezia, è capace di rendere una realtà cupa in modo così avvincente da ripristinare la fede nell’umanità. Il personaggio centrale di “Nomadland” è Fern, una splendida Frances McDormand, una donna vittima del crollo economico di una città aziendale nel Nevada rurale, che dopo la morte del marito decide di far diventare casa il suo van e, carica i bagagli, si mette sulla strada. Come miglia di americani diseredati, anche Fern decide di vivere una vita itinerante in cerca di lavori stagionali e affitto a prezzi accessibili. Sono i workampers, manodopera usa-e-getta, perché, “l’ultimo posto libero in America è un parcheggio”.
Dopo una vita di solidità e ascensori sociali, la pensione si prospetta per milioni di americani come il tempo della precarietà e dell’insicurezza. E’ ironico che la generazione dei baby boomers sia ora vittima delle volatilità del mercato e dell’erosione delle protezioni sociali che sono state il marchio della loro epoca d’oro.
Nomadland aiuterà milioni di persone nel mondo a capire che l’America è un paese falsamente prospero. I workampers selezionano le barbabietole da zucchero, raccolgono fragole, gestiscono campeggi o scaffali di scorta nei magazzini di Amazon. (Jeff Bezos, l’amministratore delegato di Amazon, possiede il Washington Post.) È un lavoro massacrante, mal pagato e senza benefici. Il programma CamperForce di Amazon, ad esempio, assume legioni di lavoratori stagionali – la maggior parte dei quali vive nei loro veicoli – prima di Natale e li licenzia quando le vacanze finiscono.
I personaggi di Nomadland sono uomini e donne orgogliosi. Molti sulla sessantina e oltre, dovrebbero entrare nella sesta età dell’uomo di Shakespeare, “con i pantaloni magri e con le ciabatte, con gli occhiali sul naso e il marsupio sistamato sul fianco”. Invece sono senza casa, senza soldi, senza sicurezza, senza tutto, tranne la loro dignità e la fiducia in se stessi.
C’è una parte di Fern che, in fondo, vorrebbe una vita stabile, non costretta dalla costante ricerca di un nuovo posto di lavoro, a cambiare campeggio dopo campeggio, sola. Eppure, dall’altra parte, Fern non può smettere di viaggiare e incrociare altri nomadi della strada che condividono con lei i propri racconti. La vita da nomade dei tempi moderni è difficile da comprendere perchè il desiderio di libertà, di una vita senza vincoli e radici, può diventare anche una condanna.
Un film pieno di solitudine che viene scandita dagli stupendi paesaggi della costa occidentale, dai tramonti nel deserto e dalle lunghe highways americane. Fern intraprende un percorso di autodeterminazione alla ricerca del senso più profondo della vita, al di fuori della società convenzionale. Una vita minimalista, essenziale, fatta di pochi oggetti.
Nomadland è il tentativo straordinario di “trascendere – il logoro ordine sociale” da parte di persone che ne sono state deluse, ricostruendo il proprio “mondo parallelo su ruote”. Li possiamo definire perdenti?