Amaro, sulla lingua. Come il sapore che resta alla fine di un incontro. Il bicchierino di ammazzacaffè resta vuoto, il saluto è veloce, la porta si chiude e dove prima c’erano due persone impegnate in un corteggiamento, ne resta una sola. Con un carico di dubbi, parole non dette, imbarazzi e ambiguità. “Amaro in bocca” è il titolo della prima personale a Roma di Andrea Fiorino, ospitata nelle stanze di Casa Vuota, in via Maia 12 al Quadraro. A cura di Francesco Paolo del Re e Sabino de Nichilo, la mostra inaugura sabato 14 dicembre 2019 alle ore 18 30-
“Con le opere di ‘Amaro in bocca’ – spiega Andrea Fiorino – provo a raccontare ciò che può accadere durante un innamoramento e una delusione d’amore, in maniera ironica, a volte grottesca o spaventosa“. Costruita come una sequenza narrativa, la mostra racconta una storia attraverso varie scene, istantanee di un corteggiamento senza idealizzazioni, in cui si ritrovano gli stessi protagonisti, tela dopo tela, scena dopo scena, a condividere uno spazio di seduzione, stupore e mistero. “Tele di grandi dimensioni che occupano lo spazio in maniera prepotente e arrogante con il colore e il segno che le caratterizza – prosegue l’artista – si sparpagliano nell’ambiente e la casa fa da scenario a eventi che seguono un unico filo narrativo, dove personaggi e situazioni si ripetono come in un flusso di coscienza. Gli avvenimenti che ho rappresentato accadono tutti in un arco temporale contenuto, come se fossero scene del racconto di una notte soltanto. Spunti narrativi e immagini racchiudono in sé diversi livelli di lettura possibili. Senza che vi sia un unico finale precostituito”.
Casa Vuota è il teatro di questa storia che si popola dei personaggi bizzarri e surreali che sono tipici delle visioni pittoriche e scultoree di Fiorino. La sua ricerca infatti trova nell’accostamento di elementi disparati la chiave di lettura per superare i limiti del reale e trasformare la percezione quotidiana in sogno o finzione. Così, nella fluidità dei dipinti appesi alle pareti senza telaio, si rende possibile un’ambiguità dei generi, dei sentimenti suscitati e dei percorsi di lettura praticabili che corrisponde a un’ambiguità della visione, spingendo le operazioni di decodifica della trama pittorica sul terreno dell’ambivalenza, del doppio senso e del libero gioco delle analogie e delle dissonanze.