E’ la storia di Tonino e Renato, due personaggi sui generis che appartengono a due mondi diversi, due emarginati che si ritrovano a vivere un’intensa esperienza di vita. Stiamo parlando de Il Grande Spirito, il nuovo film di Sergio Rubini, presentato in anteprima al Bif&st – Bari International Film Fest 2019 e in sala dal 9 maggio.
Siamo in un quartiere della periferia di Taranto, durante una rapina, uno dei tre complici, un cinquantenne dall’aria malmessa, Tonino, interpretato da Sergio Rubini, approfittando della distrazione degli altri due, ruba tutto il malloppo e scappa. La corsa di Tonino, inseguito dai suoi complici sempre più infuriati, procede verso l’alto, di tetto in tetto fino a raggiungere la terrazza più elevata, oltre la quale c’è lo strapiombo, che lo costringe a cercare rifugio in un vecchio lavatoio. Lì trova uno strano individuo, cioè Rocco Papaleo, dall’aspetto e dai modi eccentrici. Renato, suo nome di battesimo, sostiene, però, di chiamarsi Cervo Nero e di appartenere alla tribù dei Sioux. Da subito rivela al suo nuovo amico – è così che considera Tonino da subito – che il Grande Spirito in persona gli aveva preannunciato l’arrivo dell’Uomo del destino!
Tonino, così, impossibilitato ad andarsene sia perché il quartiere è presidiato dai suoi inseguitori e gli angoli delle strade controllate sia per una immobilità forzata dovuta ad una caduta da un’impalcatura, si ritrova a dover interagire con Renato. Lui, un uomo borderline, sembra vivere un mondo tutto suo, fatto di spiritualità, lui che si comporta come un pellerossa e che, proprio perché guarda il mondo da un’altra prospettiva, potrà forse fornire una via d’uscita a Tonino.
Così, in un luogo sospeso, le vite di due uomini si fondono in una strana e folle amicizia: Tonino e Renato sono l’uno l'”uomo del destino” dell’altro perché attraverso il loro rispecchiarsi si accende la loro luce interiore. Le ciminiere dell’Ilva, la pesantezza dell’industrializzazione del tarantino, le atroci dinamiche di una città che da anni si ribella ai ‘mostri d’acciaio’ sono lo sfondo di una storia densa di metafore. Perché la scelta, fortemente simbolica, è quella di ambientare la storia sui tetti di Taranto, in una ricerca visiva di elevazione fisica e spirituale: tutta l’anomala avventura di Tonino e Renato si consuma nella verticalità, in ascese celestiali che cercano di allontanare i protagonisti (in senso metaforico ma anche fisicamente) da quella terra avvelenata dalle fabbriche e infestata dalla malavita. Anche le ciminiere dell’Ilva incombono grazie alla loro altezza, che si erge arrogante sopra il livello del mare tarantino ma i due protagonisti sembrano voler superare anch’esse.
Sergio Rubini, dunque, torna alla regia con Il Grande spirito, prodotto da Fandango e Rai Cinema, e per l’occasione costruisce un personaggio incredibile per Rocco Papaleo che si dimostra perfetto in un ruolo diverso e inaspettato. Il regista ha messo, dunque, il suo indiano a contatto con il cielo, con le stelle, con i flussi migratori degli uccelli. Poi gli ha accostato- come dichiara egli stesso- una specie di “topastro di fogna”, un delinquente di quarta categoria di nome Tonino perché – afferma il regista- “L’incontro fra Tonino e Cervo Nero voleva essere comico, perché visioni del mondo così opposte solitamente conducono a commedie, però fra i due si crea anche una sorta di osmosi, di salvazione. Il Grande Spirito è una storia di salvezza. Un film faticoso, anche fisicamente (è stato girato d’inverno sui tetti di Taranto e gli attori si sono realmente arrampicati n.d.r) ma che sentivo l’esigenza di raccontare”.
Per l’occasione TheSpot.news ha intervistato il regista Segio Rubini.