Il sole tramonta sul campo di Maslax. Sopra a rottami, coperte e a poche suppellettili sparse si posano piccioni in cerca di briciole. Gli storni volano a casa in stormo sugli alti alberi che costeggiano l’ex parcheggio bus delle Fs in via Chiaromonte.
Le tende e le casette di fortuna rimaste occhieggiano vuote, le altre sono state spazzate via dal rastrellamento dimostrativo avvenuto martedì all’alba con ruspe, bobcat e blindati, distrutte come quel minimo di vita quotidiana che esisteva fino a lunedì sera. Verso il tramonto all’esterno del muro con cancellata, allestito un mese fa dalla proprietà, si raduna un gruppetto di sfollati. Sono già stati identificati in Questura e per loro una soluzione non c’è, non c’è ancora o non ci sarà mai. Stanno lì fuori, lì dove c’era “casa”, sorvegliati, senza sapere dove andare.
Siamo punto e a capo.
È questa la sicurezza? Meglio in giro senza riferimenti, in balìa del primo che offre pratiche illegali in cambio di sussistenza, oppure meglio un appoggio in una sorta di comunitá di convivenza, per quanto temporanea, con piccoli pezzetti di normalità? Quasi un sinistro avvertimento il campo lo aveva ricevuto lunedì sera, quando erano stati vandalizzati decorazioni e striscioni all’ingresso, dove c’era scritto “se entrate sarà un bagno di umanità”.
Fotoracconto di Ums (cliccare sull’immagine per ingrandire)
“E dire che con il Comune era stato avviato un percorso – racconta un’attivista di Baobab Experience – e dopo tante richieste a vuoto, pochi giorni fa era stata trovata all’improvviso ospitalità per diverse decine di persone in un centro di accoglienza“.
È dal maggio scorso che, terminata l’emergenza freddo e chiusi i ricoveri ad hoc di Caritas e Croce rossa, tanti si erano diretti al campo di Maslax mettendo sotto pressione l’attività di Baobab Experience. “Noi attiviamo singoli cittadini, ci troviamo a fare quello che dovrebbero fare altri, le istituzioni” affermano dall’associazione.
Nel piazzale tra svincoli e prati abbandonati dietro la stazione Tiburtina è cresciuta così, a poco a poco, una modesta tendopoli con famiglie e singoli in attesa di risposte sulla richiesta d’asilo, o con risposte negative, migranti arrivati attraverso la Libia e il Mediterraneo, recentemente anche regolari in situazioni di disagio. In tutto fino a martedì mattina circa 150 persone. “Chi è stato in Libia ha segni sul corpo che sono inequivocabili – racconta un volontario – Non li vogliono mostrare per risparmiare a noi l’orrore”.
Dopo i proclami e la citazione dal Viminale a centinaia piovono commenti disumani sui social dell’associazione, anche se non manca la solidarietà. Si era creata una catena virtuosa attorno a queste persone che dall’Africa cercavano l’Europa, in fondo semplicemente dei poveri, e approdati qui.
“Riuscivamo a preparare ogni giorno tredici chili di cibo, a rotazione con una ventina di volontari – spiega ancora l’attivista – che a loro volta attivavano altri cittadini, gruppetti di quartiere, signore della parrocchia”. Poi qualcuno al campo ha cominciato a rendersi autonomo con fornelli di fortuna e a prepararsi il cibo della propria terra, qui i senegalesi, là gli eritrei, davanti alle tende qua e piccola aiuola di fiori improvvisata. Due ong, una tedesca e una spagnola, hanno provveduto all’acqua e a un po’ di scorte alimentari avanzate dai supermercati.
Fotoracconto di Ums (cliccare sull’immagine per ingrandire)
Oltre alla sussistenza, nel campo c’è stata assistenza medica e legale. Un’attivista ha dato vita a „Baobab for jobs”, per individuare le competenze e qualche possibilità di lavoro. Sono state organizzate diverse attività, culturali e ricreative, per dare un senso alla lunga attesa di risposta sui documenti, spesso di mesi. „Abbiamo organizzato uscite culturali settimanali – continua la nostra guida – una volta siamo andati al Colosseo. Al rientro uno dei ragazzi mi ha detto: da quando sono partito questa è stata la giornata più bella”.
Dai racconti emerge il ritratto di una comunità temporanea pacifica, un interstizio civile in cui con la forza del volontariato e della convivenza si stava cercando di attivare risorse personali, dentro a percorsi accidentati e sospesi. Martedì mattina la brutta sorpresa, neanche il tempo di organizzare le „colazioni solidali”. Sotto sera, con i poliziotti di guardia ai limiti del campo, c’è rimasto un piccolo gruppo di volontari e attivisti, tra cui Andrea Costa, il referente di Baobab, che era presente allo sgombero e cammina incollato al telefono. Occhi lucidi, raccolgono in un furgone un po’ del materiale portato per i pasti e per le attività, infilate in un carrello ci sono tre o quattro chitarre.
“Piccolo e misero è l’uomo che si esalta davanti ad una ruspa che distrugge il letto di un povero” hanno scritto su Twitter, toni arrabbiati, ma con una certa sobrietà. Distanze siderali dalla Lega, delusione rispetto alla giunta romana e a che si era impegnato almeno per ora a non sgomberare.