In sala dal 29 marzo il nuovo film scritto, diretto e interpretato da Antonio Albanese, che ritorna dietro la macchina da presa dopo sedici anni da “Il nostro matrimonio è in crisi”. Contromano nasce dal desiderio del regista di raccontare in maniera diversa due temi caldissimi e importanti dell’attualità italiana: l’immigrazione e il razzismo.
Mario Cavallaro è un uomo ordinario. Si sveglia tutte le mattine nello stesso modo, nella stessa casa, nello stesso quartiere, nella stessa città, Milano. Ha appena compiuto cinquant’anni. Mario ama l’ordine, la precisione, la puntualità, il rispetto, il decoro, la voce bassa, lo stare ognuno al proprio posto. La sua vita si divide tra il suo negozio di calze ereditato dal padre e un orto, unica passione conosciuta, messo in piedi sul terrazzo della sua abitazione. Ogni cambiamento gli fa paura, figuriamoci se il suo vecchio bar viene venduto ad un egiziano e se davanti alla sua bottega arriva Oba, baldo senegalese venditore di calzini.
Quel che è troppo è troppo e per Mario la soluzione è semplice e folle allo stesso tempo: “rimettere le cose a posto”. Così decide di rapire Oba per riportarlo semplicemente a casa sua, Milano-Senegal solo andata. In fondo, pensa, se tutti lo facessero il problema immigrazione sarebbe risolto, basta impostare il navigatore. Ma poi questo paradossale on the road si complicherà terribilmente. Anche perché Oba acconsentirà alla sua “deportazione” a patto che Mario riaccompagni a casa anche la sorella, Dalida. Saranno guai seri o l’inizio di una nuova imprevista armonia?
L’idea del rapimento consente ad Albanese di parlare dell’ostilità nei confronti degli stranieri in modo leggero. Chi di noi non ha provato fastidio davanti ad un immigrato che per strada ti chiede una moneta o cerca di venderti una rosa mentre sei al ristorante? “Quella degli immigrati è una questione imponente. Ma ero stanco di vedere questo tema trattato in modo cupo e drammatico”, spiega Albanese. “Allora mi sono detto perché non provare a guardare sotto la lente dell’ironia le paure che abbiamo ‘noi’ e ‘loro’ per cercare di capire il punto di vita dell’ altro, e magari iniziare ad accettare il nuovo mondo in cui viviamo”.
Spesso la presenza degli immigrati è considerata la principale causa del malessere che si respira in alcuni quartieri. In realtà l’origine di questi conflitti non ha niente a che fare con la concentrazione di stranieri in una determinata zona della città. E’ importante la qualità del loro insediamento. Abitare in alloggi precari, degradati, sovraffollati non aiuta a creare una convivenza pacifica tra i cittadini immigrati e la popolazione locale.
“Io non ho la soluzione per questo tema, nessuno ce l’ha”, continua Albanese. “Però ad esempio possiamo aiutare gli extra-comunitari a star meglio nelle loro terre”. Il regista fa riferimento al progetto di Slow Food: “Con diecimila orti nei villaggi africani ha consentito a 40mila persone di possedere un piccolo appezzamento permettendo loro di vivere di questo. Almeno è un tentativo per provare strade diverse per affrontare la questione dell’immigrazione”.