Chi arriva ai concerti di Elodie oggi non è semplicemente un pubblico: è una comunità che si riconosce da uno sguardo, da un accenno di sorriso, da un frammento di testo canticchiato mentre si sistema il cappotto. Molti non la seguivano agli inizi, quando cantava senza sapere a chi si stesse rivolgendo, quando le canzoni erano come lettere inviate senza un destinatario preciso. Poi qualcosa è cambiato. Lei ha trovato chi la ascoltava davvero, chi la comprendeva, e quel pubblico ha trovato lei. È stato un incastro quasi familiare, una ritrovata casa emotiva. Da allora il suo pubblico la ama apertamente e lei lo ama a sua volta, con una reciprocità priva di giudizio, come se finalmente entrambi potessero respirare.
Al Palazzo dello Sport di Roma, Elodie torna con “Elodie Show 2025” dopo aver già tenuto due concerti consecutivi nella stessa arena. La terza data, prevista per il 6 dicembre, si aggiunge a un calendario che nelle settimane precedenti ha registrato esauriti a Jesolo, Bari e una delle due date di Messina, oltre alle doppie serate di Milano.
Dentro, quando le luci si abbassano, lo spettacolo comincia con un boato che sembra salire dal pavimento. Si comincia con Bagno a mezzanotte, con quel verso — «Voglio solo stare bene» — che molti cantano senza esitazione. Poi arrivano Black Nirvana, Guaranà e Ok. Respira, dove un’altra frase — «Almeno per stasera» — scorre come un ritornello collettivo.
In Due, la linea — «Non mi riconosco» — si diffonde tra le prime file senza bisogno di effetti, come un pensiero condiviso. Nei brani più recenti, come Mi Ami Mi Odi, la voce di Elodie sembra legarsi al pubblico in un modo diverso, più diretto, soprattutto quando pronuncia «Mi ami o mi odi?», che non arriva come domanda ma come una constatazione.
Elodie si fa spazio tra le sue ballerine come se stesse attraversando una corrente d’aria. Non c’è traccia di volgarità in ciò che fa: i movimenti sono ampi ma misurati, la sensualità non è mai un gesto urlato. L’esasperazione fisica, quella più acrobatica, la delega alle sue performer; lei invece si limita a sfiorare, avvicinarsi, inclinarsi verso i corpi in movimento come si farebbe con un segreto pronunciato vicino all’orecchio. È elegante. Delicata. E la platea lo percepisce: ogni volta che lei solleva una mano, centinaia di altre mani si sollevano di riflesso.
Il tour, che la porterà nei principali palasport italiani — dall’Unipol Forum di Milano alla Kioene Arena di Padova, dal Mandela Forum di Firenze al Pala Sele di Eboli, fino all’Inalpi Arena di Torino — è costruito con un respiro quasi internazionale. Ma ciò che colpisce davvero, più della scenografia, dei visual, della precisione delle coreografie, è il modo in cui lei restituisce qualcosa che non si può progettare: un senso di appartenenza quasi fisico, come se ogni persona presente fosse parte di un cerchio invisibile che si stringe e si allarga seguendo i battiti della sua voce.
La sua presenza sul palco è una linea di movimento che si avvicina al pubblico più che dominarlo. Molti la guardano cantando solo a mezza voce, altri salgono leggermente sulle punte per vedere meglio, qualcuno resta immobile come se temesse di perdersi un dettaglio. È il modo in cui seguono ogni suo gesto a parlare: riconoscono un linguaggio che hanno già incontrato altrove, magari da soli, in cuffia.

















