C’è un momento, durante Buonissima, in cui Torino smette di essere una città e diventa un racconto: la Mole che si illumina come un faro sul gusto, le sale barocche di Palazzo Madama trasformate in un banchetto itinerante, i tram che profumano di vitello tonnato e Alta Langa. In cinque giorni, Buonissima 2025 ha rimesso al centro la cucina come linguaggio universale, capace di unire arte, spettacolo e cultura popolare. E lo ha fatto con la grazia e la misura che da sempre appartengono alla città.
Torino, capitale gentile del gusto
Dal 21 al 26 ottobre, più di centocinquanta chef provenienti da tutto il mondo hanno preso parte alla quinta edizione del festival ideato da Stefano Cavallito, Luca Iaccarino e Matteo Baronetto, organizzato da To Be Company. Non più solo un evento gastronomico, ma una vera mappa del contemporaneo: centoventi appuntamenti diffusi in oltre settanta location tra musei, librerie, bistrot e palazzi storici. Sedicimila persone hanno riempito la città in un flusso costante di curiosità e convivialità.
“Buonissima è un gesto di fiducia verso Torino,” spiegano i fondatori, “un modo per mostrare che qui il cibo è cultura, relazione, racconto.”
Gli eroi del gusto
I riflettori si sono accesi su Rasmus Munk, geniale chef dell’Alchemist di Copenaghen, che ha trasformato Palazzo Saluzzo Paesana in un teatro sensoriale con una cena-spettacolo immersiva, tra suoni, luci e piatti concettuali. Jeremy Chan, dell’Ikoyi di Londra, ha infiammato Eataly con uno showcooking dal ritmo travolgente, mentre Carlo Cracco ha scelto la Galleria Subalpina per presentare Cracco in Galleria, progetto surreale realizzato con Toilet Paper di Maurizio Cattelan e Pierpaolo Ferrari.
C’è stato anche il ritorno dei sentimenti: la reunion di Cracco e Baronetto, insieme ai fornelli di Dispensa, ha fatto scattare quella scintilla nostalgica che solo le grandi storie sanno riaccendere. E poi Christian Costardi e Josean Alija, che alle Gallerie d’Italia hanno unito arte e cucina ispirandosi alle fotografie di Jeff Wall, in un dialogo tra estetica e sapore.

Una città che si lascia assaporare
Torino, per una settimana, è stata un mosaico di esperienze. Dalla prima cena mai ospitata nella Libreria Luxemburg, al Grande pranzo della domenica al Castello di Rivoli, passando per i bistrot del centro e le piole dei quartieri popolari. Persino il tram storico è diventato un ristorante in movimento, mentre BistroMania ha celebrato un inedito gemellaggio tra i bistrot italiani e quelli catalani, con piatti che parlavano le lingue di due Mediterranei diversi ma fratelli.
Non mancavano momenti di riflessione, come la cerimonia del Premio Bob Noto alla Centrale Lavazza, o gli incontri di Casa Buonissima, dove chef, artisti e scrittori hanno discusso di sostenibilità, intelligenza artificiale e futuro del cibo.
Una bellezza che nutre
“Buonissima non è un semplice festival, ma il ritratto della ristorazione contemporanea,” ha dichiarato Stefano Zenga, general manager della manifestazione. Un progetto che riesce a essere popolare e raffinato, inclusivo e internazionale, con un impatto economico e culturale che cresce di anno in anno. La forza di Torino, dicono gli organizzatori, è quella di accogliere: con cibo, arte e bellezza, elementi che qui convivono in modo naturale.
A sostenere questa macchina perfetta ci sono oltre trecento professionisti e i grandi nomi del made in Italy: Lavazza, Barilla, Parmigiano Reggiano, Alta Langa, Eataly, Tartuflanghe, Guido Gobino, Fontanafredda, Galup, tra gli altri.
Un arrivederci già pieno di gusto
L’ultima domenica, al Castello di Rivoli, è andato in scena il pranzo dei pranzi: agnolotti, carne cruda, bicchieri di Nebbiolo e una felicità semplice, condivisa. Una chiusura che ha il sapore della promessa: dal 21 al 25 ottobre 2026, Buonissima tornerà con la sua sesta edizione. E Torino, ancora una volta, sarà la città che si lascia mangiare con gli occhi.

















