Carolina Crescentini ha l’aria di chi ha appena finito una maratona emotiva. E’ Adelina Tattilo in Mrs Playmen, la nuova serie Netflix in uscita il 12 novembre. «Mi sono innamorata di lei. Adelina non nasce libera, ma lo diventa. E nel farlo capisce di essere molto più di ciò che le hanno sempre detto di essere».
Crescentini racconta il personaggio con una naturalezza che fa dimenticare la distanza tra attrice e ruolo. In lei convivono la dolcezza e l’ostinazione che servono per dare corpo a una figura come quella di Tattilo: fondatrice e direttrice di Playmen, la rivista erotica che negli anni Settanta sconvolse l’Italia benpensante e aprì, pagina dopo pagina, una breccia nel modo in cui il Paese guardava al corpo femminile.
Mrs Playmen è una storia di libertà, ma anche di scoperta. “Adelina si ritrova a capo di una redazione di uomini che non la vogliono,” racconta l’attrice. “Deve imparare tutto da zero, gestire un giornale, capire come farsi rispettare. Ma lo fa. Studia, osserva, cresce. E a un certo punto scopre che quella rivista, nata per gli uomini, può essere un luogo in cui le donne si raccontano. Una finestra di libertà, di corpi e idee”.
Per il regista Riccardo Donna, che firma la serie prodotta da Aurora TV, la storia di Tattilo è prima di tutto un racconto di emancipazione. “Abbiamo voluto restituire l’energia degli anni Settanta – dice –. Li ricordiamo come un decennio rumoroso e politico, ma erano anche pieni di musica, di colori, di voglia di vivere. Adelina nasce da lì: una donna che entra in un mondo di uomini e decide di non chiedere il permesso. La sua è una rivoluzione silenziosa, ma dirompente”.
Nel lavoro di Donna si sente l’esperienza di un autore cresciuto nella grande scuola della serialità italiana, ma capace di uno sguardo più ampio, cinematografico. La regia muove la camera tra le luci calde degli studi fotografici e il grigio della Roma industriale, mostrando una società che si scopre improvvisamente nuda davanti al cambiamento.
Crescentini ricorda il primo approccio al personaggio come una folgorazione. “Ho letto la sceneggiatura e ho pensato: lei non è un’eroina, è una donna reale. Fa paura, sbaglia, cade. Ma non smette mai di rialzarsi. E mentre costruivo il personaggio, mi rendevo conto che raccontavo qualcosa che va oltre la sua epoca. Perché certe battaglie non sono finite”.
Ne parla con la voce bassa, ma ogni parola è affilata. “Le conquiste delle nostre madri e delle nostre nonne le stiamo perdendo. Cambiano i termini, non le situazioni. Cinquant’anni fa si parlava di diritto d’onore, oggi di femminicidio. Negli anni Settanta si lottava per il divorzio e l’aborto, oggi ci sono ospedali in cui non si pratica l’interruzione di gravidanza. Raccontare Adelina è un modo per dire: non possiamo più far finta di niente”.
Per Donna, la chiave del racconto sta tutta lì, in quella tensione tra passato e presente. “Abbiamo cercato di far dialogare l’epoca con l’oggi. Non volevamo una biografia, ma un racconto vivo, dove il pubblico potesse riconoscersi. La libertà che Adelina conquista è la stessa che molti inseguono ancora oggi. Il corpo, la parola, l’autonomia: nulla è scontato, nemmeno adesso”.
Sul set, spiega, la sfida più grande è stata quella di trovare il giusto equilibrio tra ironia e verità. “C’era il rischio di scivolare nel cliché o nella retorica. Ma Carolina ha portato una leggerezza piena di intensità. Non recita la rivoluzione, la incarna. È un’Adelina che cambia senza alzare la voce, e proprio per questo la senti più vicina”.
Nella serie, il mondo di Playmen è una redazione pulsante, abitata da intellettuali, fotografi, scrittori, uomini e donne in bilico tra provocazione e desiderio di dire qualcosa di nuovo. “Non voleva solo vendere copie – spiega Crescentini –. Voleva far pensare. Playmen diventa un luogo dove si parla di sesso e di diritti, di piacere e di politica, di femminilità e di potere. È un giornale che guarda avanti, anche quando l’Italia resta indietro”.
Guardando Mrs Playmen si ha la sensazione che la fotografia – curata da Federico Schiottler – e la musica siano parte integrante del racconto. Gli anni Settanta sono una festa visiva: abiti a fiori, vinili, sigarette, e un erotismo che non è mai gratuito, ma sempre narrativo. “Abbiamo cercato di restituire la bellezza di quell’epoca senza nostalgia,” dice Donna. “Non volevamo un museo, ma un mondo vivo. Quegli anni avevano una leggerezza che oggi ci manca. Era un tempo in cui si credeva che tutto fosse possibile, e Adelina ne è la prova”.
Crescentini la descrive come “una donna che sboccia”. E forse la parola più giusta è proprio questa.
“Non è una guerriera, non è una santa. È una donna che si guarda allo specchio e, per la prima volta, si riconosce. Capisce che non deve chiedere il permesso per esistere. E questa consapevolezza, anche oggi, fa paura a molti. Ma è anche la cosa più liberatoria che ci sia.”
Riccardo Donna riflette infine su cosa significhi, oggi, raccontare figure come quella di Adelina Tattilo. “Penso che il compito del cinema sia restituire complessità. Far vedere le contraddizioni, le zone grigie. Adelina non è un simbolo, è un essere umano. E quando racconti qualcuno così, racconti un po’ tutti noi”.