Aveva un debole per i capelli lunghi e per i fiori. Li intrecciava, li trasformava in cornici, li lasciava arrampicare sulle curve dei corpi femminili come edera. Alphonse Mucha non dipingeva semplicemente donne: le inventava. Le faceva nascere da una linea, da un arabesco, da un soffio di colore. Le sue figure, eteree e sensuali, sono ancora oggi tra i volti più riconoscibili dell’Art Nouveau, quella corrente raffinata e onirica che all’alba del Novecento mise la bellezza al centro di tutto.
Ora, a più di un secolo di distanza, Mucha torna a vivere a Roma, dove Palazzo Bonaparte si trasforma in un teatro di luci, velluti e decorazioni. La mostra “Alphonse Mucha. Un trionfo di bellezza e seduzione” racconta l’universo dell’artista ceco attraverso oltre centocinquanta opere: manifesti teatrali, pannelli decorativi, illustrazioni, calendari. È un viaggio dentro l’immaginario della Belle Époque, quando l’arte si mescolava alla pubblicità, la stampa profumava d’inchiostro e la femminilità diventava un manifesto.

C’è Sarah Bernhardt, la diva dei teatri parigini, che Mucha rese immortale con i suoi poster. C’è la grazia sospesa delle sue donne, tutte simili e tutte diverse, icone di un sogno che non finisce mai. Accanto ai capolavori provenienti dal Mucha Museum di Praga, la mostra intreccia epoche e stili, dal Rinascimento all’Ottocento, fino alle soglie del Novecento. Un dialogo continuo tra linguaggi, forme e desideri: dalla Contessa De Rasty di Boldini alla Semiramide (A Babilonia) di Saccaggi, passando per reperti archeologici e opere rinascimentali.
“Mucha è stato un artista poliedrico, un visionario,” spiega Alessandra Taccone, presidente della Fondazione Terzo Pilastro, main partner della mostra. “Ha portato l’arte nelle strade e la bellezza tra la gente. Le sue donne – sensuali, moderne, sicure – sono ancora oggi il simbolo di un’idea di libertà che nasce dall’estetica.”
C’è anche un’ospite d’onore, e non una qualsiasi: la Venere di Botticelli, prestata in via eccezionale dai Musei Reali di Torino. È lei, la dea nata dalla schiuma del mare, a chiudere il cerchio: un dialogo a distanza di secoli tra il Rinascimento e l’Art Nouveau, tra l’ideale di bellezza classica e quello moderno. La Venere e le donne di Mucha si guardano, e in quello sguardo si riflette la stessa promessa – la grazia che resiste al tempo.
“Questa mostra è un omaggio a Mucha ma anche alla bellezza stessa,” racconta Iole Siena, presidente di Arthemisia. “Dalla Venere a Mucha, dall’antico al contemporaneo, attraversiamo un linguaggio che non smette mai di sedurre.”
Alla fine, resta l’immagine di un artista che ha saputo unire pittura, grafica, design e spiritualità. Mucha fu molto più di un decoratore: fu un narratore visivo, un precursore del design moderno, un uomo convinto che l’arte potesse parlare a tutti.
Nei suoi manifesti, nei profili sinuosi delle sue donne, si legge una forma di fede laica: quella che crede nel potere redentore della bellezza.