Nel cortile dei Musei di San Salvatore in Lauro, nel centro di Roma, l’aria di ottobre ha un odore leggero di pioggia e foglie bagnate. È qui che prende il via la settima edizione del Tevere Day, una manifestazione che, anno dopo anno, tenta di restituire al fiume la voce che la città gli ha tolto.
Il Tevere attraversa Roma per ventiquattro chilometri, ma per molti romani è ancora una linea invisibile. Ci si passa accanto in macchina, lo si intravede tra i muraglioni, ma pochi si fermano davvero a guardarlo. L’iniziativa, nata nel 2019, vuole cambiare questa abitudine: per una settimana, dal 6 al 12 ottobre, più di duecento associazioni, decine di scuole e migliaia di cittadini parteciperanno a oltre centocinquanta eventi sparsi lungo il corso del fiume.

Passeggiate, concerti, laboratori, gare sportive e pulizie volontarie animeranno più di ottanta chilometri di rive, da Castel Giubileo fino alla foce. In alcuni tratti, i partecipanti si muoveranno in bicicletta o in barca; in altri, semplicemente camminando lungo sentieri che di solito restano deserti.
L’inaugurazione ai Musei in Lauro è una festa sobria. Ci sono volti conosciuti e gente comune. Tra gli ospiti, la campionessa olimpica Caterina Banti, Giorgio Daviddi dei Trio Medusa, Alessandro Cecchi Paone, e Francesca Chialà. A condurre la serata è il giornalista Giuseppe Di Piazza, che accompagna i racconti e le testimonianze con un tono pacato, quasi confidenziale.
Cecchi Paone prende la parola e parla di identità, di memoria e di immaginario. «Il Tevere è stato un dio per i romani, poi un fossato dimenticato. È tempo di restituirgli il suo ruolo nella vita della città», dice. Propone la creazione degli “Stati Generali del Tevere”, un luogo di confronto stabile fra istituzioni, associazioni e cittadini. «Il Tevere Day ha già fatto molto, ma serve un passo in più. Roma non può vivere con le spalle al suo fiume. La Senna e il Tamigi sono parte del cuore delle loro città. Perché il nostro fiume no?».
Le sue parole vengono accolte da un applauso spontaneo. Intorno, le immagini scorrono: canoe, bambini, rive fiorite, ponti al tramonto. Per qualche istante sembra davvero possibile che Roma possa cambiare il suo sguardo, che torni a guardare verso l’acqua.
Tra i rappresentanti delle istituzioni ci sono Giulia Silvia Ghia, assessora alla Cultura, e Stefano Marin, che si occupa di politiche ambientali del I Municipio. Insieme a loro Paolo Giuntarelli, direttore regionale per il Turismo, il Cinema e lo Sport. «Il Tevere non è solo un fiume», dice. «È una narrazione, un valore culturale e turistico che appartiene a tutti. Dobbiamo imparare di nuovo a viverlo, non solo a guardarlo da lontano».
Accanto ai discorsi ufficiali, c’è un sentimento più intimo, che si percepisce nei volti dei volontari e dei membri delle associazioni che ogni anno partecipano. Tevere Day non è un evento istituzionale, ma un esperimento collettivo: una rete fatta di cittadini, ciclisti, archeologi, atleti, ambientalisti, insegnanti. Ognuno porta un frammento di sguardo diverso sullo stesso fiume.
«La forza del Tevere Day è la gente», spiega Giuseppe Di Piazza. «Non è un’iniziativa calata dall’alto. È un mosaico di passioni, di piccoli gesti concreti. In fondo, il Tevere è la madre e il padre di Roma. È da qui che tutto è cominciato».
Sul palco sale Alberto Acciari, presidente di Tevere Day APS, che ha ideato la manifestazione nel 2019. Parla con il tono di chi crede nel lavoro lento e quotidiano. «Ogni anno ripartiamo da capo, con la stessa energia. Quest’anno gli eventi si terranno in oltre trentacinque località diverse, dalle campagne ai ponti urbani. Non è solo una festa: è un percorso di cura».
Fuori, la sera è scesa su Roma. Il fiume, poco distante, scorre silenzioso tra i muraglioni. Le sue acque riflettono le luci dei ponti e i suoni lontani del traffico. A guardarlo da un parapetto, sembra immobile, ma chi lo conosce sa che il Tevere non è mai fermo. Cambia colore, forma, intensità. A volte appare torbido e pieno di detriti, altre limpido come un lago. È un fiume che resiste, che attraversa epoche, che sopravvive a tutto.
Il Tevere Day, nel suo piccolo, cerca di restituirgli questa dignità. Non solo ripulendo o organizzando eventi, ma provando a riscrivere la relazione tra Roma e il suo fiume. Una relazione fatta di memoria e oblio, di bellezza e incuria, di lontananza e desiderio di ritorno.
Nei prossimi giorni, sulle sue sponde ci saranno bambini che disegnano, volontari che raccolgono plastica, anziani che raccontano storie di quando da ragazzi facevano il bagno sotto Ponte Milvio. Piccoli frammenti di una città che prova a ricordare da dove è nata.
E mentre la settimana del Tevere Day si apre, Roma sembra ascoltare di nuovo il suono dell’acqua che la attraversa. Un suono familiare, antico, che ricorda a tutti che la città non è solo fatta di pietra, ma anche di fiume.