La magia ha il potere di incantare, ma cosa succede quando un incantesimo svela più di quanto si vorrebbe? Spellbound, il nuovo film d’animazione uscito su Netflix, invita il pubblico a immergersi in un regno fiabesco dove la luce e l’oscurità non si dividono in modo così netto. Sotto la guida di Vicky Jenson, celebre per aver diretto Shrek, il film sembra promettere una favola classica, ma si rivela presto una storia che esplora dinamiche familiari e personali più complesse.
Al centro della narrazione c’è Ellian, giovane principessa che si ritrova a fronteggiare una maledizione devastante: i suoi genitori, i sovrani del regno, sono trasformati in creature mostruose. La trama potrebbe sembrare la solita avventura eroica, ma a ben guardare, il viaggio di Ellian non riguarda solo la salvezza del regno. È un percorso di scoperta di sé, delle paure che definiscono chi siamo e del coraggio necessario per affrontarle.
Visivamente, il film è una festa per gli occhi. Le ambientazioni sono una cascata di colori e dettagli che, pur essendo ancorati a un’estetica fiabesca, riescono a suggerire una tensione sottile. La dualità tra la bellezza del mondo incantato e la sua fragilità metaforica è ben resa, ma non si limita a restare sul piano visivo: anche il racconto si muove tra contrasti. L’incantesimo che sconvolge la vita della protagonista diventa un pretesto per esplorare fratture familiari e incomprensioni che vanno oltre il contesto magico.
La colonna sonora, affidata ad Alan Menken, cerca di amplificare le emozioni, ma non sempre riesce a lasciare il segno. Alcune canzoni evocano l’incanto che ci si aspetterebbe da un film animato di questo calibro, mentre altre sembrano soffocate dalla necessità di spiegare troppo, perdendo il potere evocativo di una melodia davvero memorabile. Forse è il peso della tradizione che grava su Menken, maestro di capolavori passati, o forse è semplicemente una narrazione che non dà abbastanza spazio alle pause musicali per respirare.
Ma il cuore pulsante di Spellbound è il suo messaggio. Ellian non è una principessa perfetta; è una ragazza alle prese con un senso di inadeguatezza, un’ansia di non essere all’altezza di ciò che ci si aspetta da lei. E non è solo una questione di responsabilità regale. I temi del film, a un livello più sottile, toccano corde universali: come affrontiamo il cambiamento, il peso delle aspettative altrui, e il modo in cui impariamo ad accettare non solo gli altri, ma anche le parti meno luminose di noi stessi.
Naturalmente, non mancano i difetti. La trama, a tratti, scivola nella prevedibilità, soprattutto per un pubblico abituato ai classici d’animazione. C’è un senso di déjà vu in alcune svolte narrative che toglie un po’ di ritmo al racconto. Ma è davvero un difetto? Per molti, soprattutto per i più piccoli, Spellbound potrebbe essere un’esperienza di scoperta e magia che lascia ancora spazio alla meraviglia.
Spellbound è un racconto che cerca di parlare a tutte le età. Non è una lezione sulla famiglia o sull’amore, ma una riflessione, un invito a guardare oltre la superficie lucente di ciò che definiamo “magico” per scoprire che anche le ombre possono raccontare qualcosa di straordinario.