Nel nuovo capitolo il terribile Norman Nordstrom di Don’t Breathe, in Italia con il titolo Man in the dark, del 2016 di Fede Alvez meritava davvero di essere ripescato, e addirittura portato sulla strada di un’impossibile redenzione? Meglio ancora, al sequel ora diretto.
Don’t Breathe 2 – In man in the dark, l’uomo nel buio – del 2021, diretto dal debuttante Rodo Sayagues, il 69enne Stephen Lang torna nei panni dell’ ex marine con un passato di rapimenti, omicidi e aggressioni sessuali. Ora è il “custode” di una piccola sopravvissuta all’esplosione di un laboratorio di metanfetamine (interpretata da Madelyn Grace), che cresce come sua figlia.
Con gli anni lei inizia a desiderare una vita “normale”, lontana dalle rigide regole imposte dal genitore. L’uomo decide di allentare un po’ le redini e le permette una visita in città, dove attira l’attenzione del viscido Raylan (Brendan Sexton III), che porta una banda di malviventi a bussare alla porta di Nordstrom in cerca della ragazza.
Nel film assalti e percosse prevalgono sulle linee narrative. Stephen Lang rispetto al precedente capitolo è più aggressivo, in stile Sylvester Stallone o Arnold Schwarzenegger, inizia a polverizzare coloro che lo “meritano” per salvare una vita innocente. Rodo Sayagues cerca una miscela tra il primo Man in the dark e il cinema di Simon West, dove il bisogno di silenzio assoluto diventa meno importante dal punto di vista tematico man mano che viene attivata la modalità sopravvivenza a tutti i costi.
L’aspetto più interessante e controverso della sceneggiatura diventa quindi quello di mettere lo spettatore nella posizione di dover “gestire” il passato di Nordstrom come stupratore seriale e la sua attuale conversione a una mite “figura paterna” con il cuore spezzato, un antieroe per cui ci troviamo. nostro malgrado ad esultare perché i cattivi riescono ad essere anche più riprovevoli. E un enigma morale che colora Man In The Dark di una particolare sfumatura di sporco, ma può diventare un terreno molto scivoloso.