Come viveremo, noi, insieme? “How will we live together?” è il titolo della 17a. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia che si terrà dal 23 maggio al 29 novembre 2020. Come vivremo, noi, insieme, con i nostri sogni e davanti ai cambiamenti che trasformano la vita nostra e del pianeta? La domanda e la presentazione, quasi ad incarnarne la verità, sono state “postate” in una conferenza stampa streaming sul sito della Biennale dal Presidente Paolo Baratta, da Venezia, e dal curatore Hashim Sarkis, con il suo team, da Boston.
Conferenza stampa alla portata di tutti, quindi, e dribblando le restrizioni di questi tempi, ma un po’ malinconica. In parte perché si tratta della nona e ultima edizione presieduta da Paolo Baratta, che passerà il testimone a Roberto Ciccutto. Ma soprattutto per la plastica idea delle relazioni asettiche a cui i nuovi eventi ci costringono. Eppure è di grande speranza il messaggio che veicolerà la nuova MIA alla quale parteciperanno 114 studi di architetti, con una rappresentanza crescente di donne e maggiore provenienza da Africa, America Latina e Asia. Non sappiamo se l’architettura ci salverà, ma sembra volerci provare.
Sono 63 partecipazioni nazionali negli storici Padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e nel centro storico di Venezia sono; tre i paesi presenti per la prima volta: Grenada, Iraq e Uzbekistan. Il Padiglione Italia alle Tese delle Vergini in Arsenale, sostenuto e promosso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, Direzione Generale Creatività contemporanea, sarà a cura di Alessandro Melis.

L’Architettura come speranza, visione e risposte ai bisogni dell’uomo e delle specie viventi del pianeta è la direzione che indica la Mostra Internazionale di Architettura e il tema costante sottolineato dalle parole illuminate del presidente Baratta: “L’Architettura ci fa individui più consapevoli, ci aiuta a essere non solo consumatori, ma cittadini, ci stimola a considerare gli effetti indiretti delle nostre azioni, ci aiuta a comprendere meglio l’importanza dei beni pubblici e dei beni gratuiti. Ci aiuta a sviluppare una visione del welfare più completa”. In questi anni, infatti, partendo da archistar la Mostra è approdata alla riscoperta dell’architettura come disciplina.
La Mostra di Hashim Sarkis centra tutti i temi del momento e i problemi strutturali della società contemporanea, dice Baratta. Affrontando i temi dell’aggiustamento e delle trasformazioni dell’abitare e del coabitare, dell’esistere e del coesistere. L’architettura, quindi come “un vasto impegno interdisciplinare e di un vasto impegno culturale e politico”, una sorta di “chiamata alle armi” dell’Architettura alle altre discipline. “È necessario infatti trasmettere uno stato d’urgenza sia nel mondo sviluppato che in quello in via di sviluppo. – continua Baratta – I mutamenti in corso chiedono nuove visioni e progetti. Per la casa individuale, per le città, le campagne, la natura e per interi territori”.
Un’architettura responsabile, quindi, e che si fa politica. Perché proprio in contesti come questi giorni di virus globale “i progetti non possono essere che frutto di una estesa consapevolezza e diffusa collaborazione”. Quando tutti si ha la sensazione di non essere più alla guida del progresso, ma di essere “vittime dei cambiamenti che comporta”. E quando “molti possono approfittare delle paure, dei timori, delle frustrazioni che ne derivano per sviluppare campagne ultra difensive,” ecco una Biennale utile a richiamare “che l’identità di una società o di una comunità sta nella qualità dei progetti che è capace di formulare per il suo futuro”.

I contenuti della 17esima Mia sono stati presentati a seguire, in diretta streaming da Boston, dal curatore Hashim Sakis, che ha presentato alcuni dei suoi giovanissimi collaboratori, provenienti da varie parti del mondo. L’architetto Sarkis dal 2015 è preside della School of Architecture and Planning al Mit-Massachusetts Institute of Technology.
Sarkis si è soffermato all’inizio sul titolo della Biennale How will we live together? “E’ una domanda aperta”, nella quale ci sono tutti i significati. How, come, ovvero “un approccio pratico e soluzoni concrete, l’architettura come pensiero del problem solving”. Will, verbo che esprime il futuro, la visione ma anche il volere e il cercare con determinazione. We, noi, prima persona plurale, inclusiva degli altri popoli e delle altre specie, per esprimere a un più empatico atteggiamento attraverso l’architettura. Live, vivremo, vivere, non semplicemente l’esistere ma il prosperare, dove l’ottimismo è qualità intrinseca dell’architettura. Together, insieme, implica beni comuni, valori collettivi, architettura come espressione di valori universali. Infine il punto interrogativo:? Una domanda aperta non retorica, alla ricerca di molte risposte attraverso i valori dell’architettura.
Stations + Cohabitats, sono inoltre le ricerche fuori concorso sui temi della Mostra sviluppate da ricercatori di università di tutto il mondo. Organizzata in cinque scale tra Arsenale e Padiglione Centrale ai Giardini, la Mostra presenta anche grandi installazioni collegate a ognuna delle cinque scale che si disporranno negli spazi esterni dell’Arsenale e dei Giardini.
Quindi nei 300 metri delle Corderie si viaggia tra la coesistenza di esseri diversi, corpo umano e nuovi corpi, tecnologico e politico, con un paesaggio con suolo tecno-organico umani e altre specie, che definiscono nuovo sistema di coabitazione. Si parla della famiglia, di come abita e del nuovo mercato abitativo, come esempio le abitazioni dei millennials in Africa che si sovrappongono alle case di famiglia. Un altro padiglione è dedicato a come le comunità emergenti si riorganizzino spazialmente, e ancora a come si conviva nelle megalopoli. Tra gli esempi, una scuola armena dove si pratica l’educazione digitale con conseguenze positive sulla città.




Una quarta scala riguarda i confini, intesi non solo come confini dei continenti, beni comuni mondiali, come l’Amazzonia, gli Oceani o i Poli, ma anche come l’andare oltre il divario tra urbano e rurale, le divisioni urbane interne. Come esempio viene citato un ponte di Los Angeles. Una quinta scala si interroga sul tema di un pianeta nuovo e nel 75esimo anniversario dell’Onu pone domande sulla reinterpretazione delle infrastrutture. Tra i tanti progetti, un omaggio a Venezia “per celebrare la resilienza di questa città”.
Appuntamento quindi al 23 maggio, con grandi aspettative e la speranza che, al di là del mondo costruito, davvero l’architettura sappia trovare percorsi di sopravvivenza. Il programma completo su sito della Biennale di Venezia.

Devi effettuare l'accesso per postare un commento.