Quando si parla di Palestina nel cinema, il dramma è dietro l’angolo. Il regista Elia Suleiman ha sempre optato per una strada diversa, offrendo uno sguardo comico e per ampi tratti grottesco sulla causa palestinese. Nel suo nuovo film Il Paradiso probabilmente, nelle sale dal 5 dicembre, con Academy Two , cerca di mostrare il mondo come se fosse un microcosmo della Palestina. Nel film, il suo alter ego si reca a Parigi e New York per scoprire che queste roccaforti dei valori occidentali non sembrano in realtà così diverse dalla Palestina, dopo tutto. I posti di blocco sono ormai dovunque, negli aeroporti e nei centri commerciali. Le sirene della polizia e degli allarmi non sono più intermittenti, ma costanti. La violenza che esplode in un posto si è ormai diffusa altrove.
Con questo film, Suleiman si autodefinisce come un silenzioso, impassibile osservatore di ordinarie situazioni di vita quotidiana di persone in tutto il mondo che vivono in un clima di tensione geopolitica globale. A Parigi, molte scene mostrano l’onnipresente presenza della polizia e dei militari. Dal suo balcone, Suleiman osserva un gruppo di poliziotti che sfrecciano lungo la strada su monopattini elettrici che emettono suoni simili ai forti sibili degli UFO. In un’altra, si vede una processione apparentemente infinita di carri armati che rotolano lungo un viale, gigantesche macchine da guerra in stridente contrasto con l’elegante centro di Parigi. A New York, Suleiman si reca in un negozio di alimentari e dopo aver notato che uno degli acquirenti porta una pistola nella fondina, si rende conto che tutti sono armati fino ai denti: i Kalashnikov in spalla, cinture di munizioni appese alle carrozzine dei bambini.
Come nei miei film precedenti, i dialoghi sono scarsi senza tuttavia rinunciare a sequenze di pura poesia. Per il resto, la narrativa del film viene intessuta sui primi piani costanti del volto di Suleiman che osservano impassibili la stupidità universale del mondo.