“Esperienze che si mostrano nude, nella loro sincerità”. E’ questa, secondo la curatrice Renata Ferri, la capacità di leggere il nostro Paese espressa da Emiliano Mancuso, fotografo recentemente scomparso, e a cui è dedicata la mostra al Museo di Roma In Trastevere “Emiliano Mancuso. Una diversa bellezza. Italia 2003-2018”. fino al 6 ottobre.
Quattro i corpi di lavoro selezionati ed esposti, ciascuno con uno sguardo, un progetto, una tecnica diversi, realizzati nell’arco di quindici anni di lavoro. Per tutti vale quello che afferma la curatrice, “sguardo clemente, mai giudicante”. C’è la partecipazione civile, e c’è uno sguardo che sa essere libero. Lo racconta Mancuso stesso, questo sguardo libero, nella videointervista in cui parla dei viaggi a Sud, quando ha capito, per esempio durante un mese trascorso a Scampìa, dove era frequente trovarsi in mezzo a drammi e violenze, che “è sbagliato sacralizzare il dramma a Sud, dove spesso al dramma e alla ferocia, si accompagna la commedia e il sarcasmo. Affrontare il dramma in modo formale e sacrale può essere anche irrispettoso nei loro confronti”.
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Molto d’impatto per la carica di colore e di energia, il progetto Terre di Sud (2003-2008) cui si riferisce l’immagine guida della mostra, le tre ragazze in Vespa a Pozzuoli, del 2005, e che occupa le due sale centrali del Museo. Un progetto sul Mezzogiorno, fatto di molti viaggi, che inevitabilmente incontra luoghi comuni, da cui esce con grande freschezza e, appunto, cogliendo “una diversa bellezza”. Già qui emerge quello che Domenico Starnone rileva nelle inquadrature, a volte sghembe, a volte con priorità sorprendenti “quel modo anomalo di guardare il mondo”, dove l’ambiente occupa l’inquadratura più delle persone. Dal lavoro è stato realizzato un libro, Terre di Sud, pubblicato nel 2008 dalla casa editrice Postcart.
E’ invece un progetto del tutto giornalistico quello di Stato d’Italia (2008-2011): un viaggio lungo tre anni, che Mancuso, che è stato autore su l’Espresso, ha svolto in camper attraverso l’Italia alla ricerca di storie, cronache e volti della crisi economica e sociale, ogni volta con un giornalista: Laura Eduati, Angela Mauro, Andrea Milluzzi e Davide Vari. Nero fortissimo e pochi bianchi per raccontare gli sbarchi di Lampedusa, Rosarno, la rivolta dei braccianti africani, i ragazzi di Taranto assediati dai fumi delle acciaierie Ilva. Anche questo lavoro è diventato una mostra un libro, Stato d’Italia, pubblicato nel 2011 da Postcart, con la prefazione di Lucia Annunziata: “Il giornalismo è un mestiere di artigiani, è l’abilità di raccogliere e distinguere, e presentare gli elementi trovati per i nomi che hanno, non per quelli che vorremmo”.
Più intimi gli altri due progetti. Profondamente vissuto Il Diario di Felix (2016) progetto realizzato a Casa Felix, la casa famiglia di Roma che ospita minori del circuito penale e minori civili. Mancuso ha accettato lui stesso di mettersi in gioco, umanamente, quasi disarmato, allacciando un vero rapporto di amicizia con otto ragazzi che hanno accettato di raccontarsi, attraverso foto, video e brevi didascalie. Le Cicale (2018, co-regia di Federico Romano) entra nella vita di quattro persone prossime alla pensione o pensionate e le loro fatiche di sussistenza.
L’esposizione è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale -Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali ed è prodotta e organizzata da Officine Fotografiche con Zona, PCM Studio, Postcart edizioni in accordo con la famiglia di Emiliano Mancuso, ed è realizzata con il supporto di Digital Imaging partner di Canon.
Una mostra da visitare, non solo per scoprire e non dimenticare il fotografo scomparso, ma per guardare e apprezzare con i suoi occhi quel Paese che tutti i giorni incontriamo e raramente sappiamo vedere.
Fotografie dell’esposizione (c) Ums
In apertura “Terre di Sud, Pozzuoli 2005” (c) Emiliano Mancuso