C’è un sottile confine tra “recitare” un personaggio ed “essere” quel personaggio sulla scena. Ed è il sentimento. Il sentire puro e diretto che anima ogni conversazione, ogni atto, ogni respiro. Non basta dire “Io vi ho amato”, bisogna provarlo in tutti i pori della pelle e del cuore. Altrimenti diventiamo semplici automi della ripetizione. Sembrerebbe così semplice. E invece.
“Elvira”, lo spettacolo diretto ed interpretato da Toni Servillo, in scena al Teatro Argentina fino al 2 giugno, prende le mosse dalle sette lezioni che il grande attore francese Louis Jouvet tenne al Conservatoire National d’Art Dramatique di Parigi durante i mesi dell’occupazione nazista, stenografate da Charlotte Delbo (sua assistente d’origine italiana e di famiglia operaia comunista, poi deportata e sopravvissuta ad Auschwitz). Quelle lezioni divennero nel 1986 uno spettacolo di grande successo in Francia, Elvire Jouvet 40 di Brigitte Jaques-Wajeman, con protagonisti Philippe Clévenot e Maria De Medeiros. Nel testo l’allieva di Jouvet viene chiamata Claudia, nella realtà invece il suo nome era Paula Dehelly (attrice e doppiatrice morta nel 2008 a 91 anni), a cui negli anni della guerra fu interdetto di recitare perché ebrea.
L’intenzione è quella di rivoluzionare i codici del teatro. Sul palcoscenico di un teatro chiuso, il maestro e la sua allieva si incamminano nella creazione del personaggio. Si esercitano sulla sesta scena del quarto atto del Don Giovanni, in cui Donna Elvira, infelice innamorata implora il grande seduttore a pentirsi, perché solo così avrà salva l’anima. Elvira entra così nell’intimità della relazione tra insegnante e allieva al fine di indagare i meccanismi che condizionano ogni processo formativo attraverso il confronto intergenerazionale.
Creare il personaggio diventa una prova d’esame su cui misurare l’autenticità della propria vocazione. Toni Servillo e Petra Valentini, rispettivamente nei ruoli di Jouvet e di Claudia, si addentrano nel mondo misterioso della recitazione per scoprire che il mestiere dell’attore non è un esercizio sterile di tecniche teatrali bensì un’avventura introspettiva alla scoperta di sé e degli altri.
Soltanto così, in tempi difficili come quelli attuali, il teatro può tornare ad essere lo strumento dell’arte per smuovere le coscienze. Un luogo in cui l’attore compie un viaggio nella propria interiorità per arrivare al cuore del suo personaggio, per comprenderlo intimamente e poterlo restituire al pubblico con autenticità.
Contro ogni totalitarismo di ieri come di oggi è necessario, come sosteneva Jouvet, concentrarsi sul testo senza sfruttarlo per imporre le proprie idee. Il prezioso metodo di lavoro della compagnia è incarnato dalla figura di Toni Servillo nel documentario “Il teatro al lavoro“ (Italia – 2018, 61 minuti), un film di Massimiliano Pacifico prodotto da Teatri Uniti in collaborazione con Rai Cinema, che sarà presentato giovedì 30 maggio al Teatro Argentina, nell’ambito del Lunga Vita Festival.