Nel suo teatro si dibattono la scoperta e la costruzione del sé nella relazione con il mondo, una partitura artistica che mette in discussione ciò che è considerato “norma”. Con la sua compagnia The Baby Walk, l’artista e regista Liv Ferrachiati, ha conquistato la scena nazionale attraverso La Trilogia sull’Identità, un racconto di storie ordinarie in cui il transgenderismo non è l’unico centro: il tema dell’identità viene indagato per interrogare la nostra natura di esseri umani, ma soprattutto di esseri liberi. Sentimenti, vite di personaggi diversi alle prese con la propria natura: un vero e proprio percorso mentale che conduce alla costruzione dell’identità dell’individuo.
«La raccolta dei materiali per questo progetto inizia nel 2013 e siamo arrivati alla conclusione che la transizione è, prima di tutto, un percorso mentale verso la costruzione dell’identità di un individuo. I cambiamenti fisici, seppure fondamentali per alcune persone transgender, non crediamo siano il fulcro della questione e, a poco a poco, non sono più stati nemmeno il fulcro della nostra indagine – racconta Liv Ferracchiati – Andando avanti nel nostro percorso teatrale ci siamo accorti che non era poi così interessante nemmeno l’identità di genere, ma, per dirlo con le parole di Paul B. Preciado: “La cosa importante era opporsi alla standardizzazione che identifica come patologia quello che non riconosce. Il resto è una tassonomia, un sistema di classificazioni”.Il materiale raccolto è stato ripartito in tre spettacoli, dando vita a tre differenti proposte di linguaggio: Peter Pan guarda sotto le gonne, mostra la parola come incapacità di comunicarsi, Stabat mater la innalza a strumento di rappresentazione e ricostruzione della propria identità, mentre in un eschimese in amazzonia diventa metafora della fragilità di qualsiasi forma scegliamo per noi stessi».
Fino a domani 27 gennaio va in scena Peter Pan guarda sotto le gonne, primo capitolo della Trilogia, che racconta l’infanzia di un undicenne degli anni ’90 nato in un corpo femminile, osservando come il transgenderismo possa assumere le sembianze della spontaneità e persino della tenerezza. È la storia della difficolta di affrontare una transizione, un periodo di passaggio, anche solo mentale, che porta via ogni certezza. Proprio come accade a Peter Pan, che ha paura perché non capisce cosa gli sta succedendo. Questo timore ha origine dall’incapacità di narrare perfino a se stesso ciò che sta provando, e ciò che gli sta accadendo, essendo completamente all’oscuro dei termini e dei nomi per quello che intimamente percepisce di sé. In suo aiuto giunge Tinker Bell, «la Fata che esiste», che svolge per lui il ruolo di mentore o, meglio, una sua grottesca, verbosa imitazione, spingendolo verso la sua intima natura e accompagnandolo nella scoperta di quello che si nasconde dietro le apparenze. Wendy, invece, ragazzina dotata di spavalda femminilità, diventa per Peter un acceleratore della consapevolezza; l’Ombra, interpretata da un danzatore, rappresenta la natura e, forse, il futuro di Peter. Una drammaturgia che si disvela attraverso un linguaggio semplice e realistico, tipicamente adolescenziale, accompagnato dalla danza che va a tratteggiare le zone di senso che la parola fatica ad esprimere.
La trilogia prosegue con Stabat Mater, in scena dal 29 al 31 gennaio. Questo secondo capitolo indaga la vita di Andrea, uno scrittore trentenne, colta nella sua ordinarietà, nonostante stia attraversando una situazione straordinaria: vivere al maschile avendo però sembianze femminili. Nella pièce Si intrecciano tematiche come l’emancipazione dalla madre e le difficoltà di diventare adulti, scardinando un sistema di certezze consolidate. Pause, relazioni, ritmi martellanti o rarefatti si alternano a veri e propri monologhi in metrica, che rivelano gli stati d’animo più intimi del protagonista, e nei quali emergono tutte le sue passioni; come quando, ad esempio, si innamora della sua analista e si scaglia contro l’anello che la donna porta al dito, emblema delle convenzioni sociali che lo opprimono e a cui si oppone con tutte le sue forze. Vuole distruggerlo e sente che la “natura”, solidale, si impenna e sconvolge il Mondo con spaventosi cataclismi, condannando a morte la Norma ostile a lui e al suo amore.
Chiude la trilogia Un eschimese in Amazzonia, spettacolo vincitore del premio Scenario 2017, che pone a diretto confronto una persona transgender (l’Eschimese) e la società (il Coro), a partire da una citazione dell’attivista e sociologa Porpora Marcasciano che evidenzia l’incapacità della società di andare oltre il modello binario di sesso/genere, omosessuale/eterosessuale, maschio/femmina. La societa, dunque, segue le sue vie precise e strutturate, mentre l’eschimese improvvisa poiché la sua presenza non è contemplata. Si tratta di un personaggio autentico, specchio della contemporaneità in cui vive, che prova ad avere una visione soggettiva, ma che finisce in realtà per essere infarcita di luoghi comuni. Un lavoro moderno, dinamico, costruito sul nonsense tipico della illogicità dell’internet, con una lingua ritmata, veloce, espressione del coro e quindi della società odierna. Un linguaggio basato sull’improvvisazione e perciò metafora verticale dell’esistenza dell’Eschimese e, in fin dei conti, dell’esistenza di tutti noi.