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Rupert Everett è Oscar Wilde

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11 Aprile 2018
in Cultura
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Rupert Everett è Oscar Wilde
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The Happy Prince, l’ultimo film dedicato ad Oscar Wilde, verrà proiettato nelle sale italiane a partire da domani, 12 aprile. Dopo aver interpretato Lord Arthur Goring in The Ideal Husband nel 1999 e Algernon Moncrieff  in The Importance of Being Earnest  nel 2002,  Rupert Everett ha lavorato per circa 10 anni alla scrittura del film che ha poi diretto ed interpretato nel ruolo di Oscar Wilde.

Nel 2012, l’attore britannico  aveva già vestito i panni dello scrittore nell’opera teatrale intitolata The Judas Kiss di David Hare, riproposta all’Hampstead Theatre di Londra dopo circa dodici anni dal primo debutto sempre nella capitale inglese nel 1998. Il secondo atto dell’opera di Hare racconta dell’ennesima riconciliazione, ancora una volta temporanea e disastrosa, tra Wilde ed il suo giovane amante Lord Alfred Bruce Douglas, Marchese di Queensberry, chiamato Bosie. I due si rifugiano a Napoli, in una misera pensione, ma le esigue risorse finanziarie di entrambi faranno precipitare gli eventi e spingeranno il volubile e capriccioso Bosie ad abbandonare definitivamente l’ormai invecchiato e provato Wilde.

Il cast scelto da Everett è di quelli strategici al punto da apparire provvidenziale più per la spendibilità dei nomi che per le interpretazioni non certo memorabili in un film il cui montaggio risulta essere emozionale e a tratti forzato. Dall’inizio alla fine del film, Edwin Thomas, che interpreta Robbie Ross , e Colin Firth nei panni di Reggie Turner, non emozionano. Colin Morgan, nel ruolo di Bosie, restituisce un’interpretazione irritante e forse per questo più convincente. Emily Watson, nel film è Constance, moglie di Wilde, pur se in un ruolo secondario è brava a raccontare della solitudine e del dramma di donna umiliata e condannata dall’amore per l’irrecuperabile Wilde.

Già accolta positivamente dal pubblico alla Berlinale, nella sezione Panorama, ed ancora prima al Sundance Film Festival e al London LGBTQ+ Film Festival, la narrazione di Everett comincia dagli eventi che precedono l’ultima sciagurata riconciliazione tra Wild e Bosie e ripercorre gli ultimi anni di vita di Wilde. Lo fa esponendo il poeta nella sua fragilità, figura distante dall’autore che fu celebrato e che amiamo per la sua arguzia e la sua genialità artistica. Il poeta svestito della sua celebrità è l’uomo in bancarotta, violato dall’infamia pubblica ed in esilio, nomade nel continente dopo il rilascio dalla prigione di Reading Gaol; incapace di riprendere in mano la sua vita di padre, marito, persino incapace di fedeltà ai pochi che ancora gli erano accanto, gli amici Reggie Turner e Robbie Ross.

Tra rimpianti, ripensamenti e momentanee euforie, la narrazione si sviluppa in modo scabroso, anche i rari slanci di comicità si tingono dei colori della miseria materiale ed umana in cui Wilde precipita. Si diceva della simbiosi Everett-Wilde e questa sembra farsi carne e corpo pesante, sgraziato, letteralmente. L’appesantimento di Everett, manifestato senza risparmio, distrugge cinematograficamente l’immagine del dandy inglese e lo consegna direttamente e con veridicità alla malattia, alla sua morte. Ma la fine è anche il momento del sollievo e della redenzione, non perché Wilde riceva l’estrema unzione, non solo almeno, ma perché oltre la sua morte fisica restano le parole finali della fiaba del Principe Felice, The Happy Prince, il cui racconto accompagna la trama a tratti caotica del film conferendogli una dinamica più ordinata.

È forse questo l’aspetto più originale del film. Rivelare al pubblico che il genio irlandese è stato anche autore di fiabe per bambini è il modo in cui il regista concilia definitivamente il genio irrequieto dell’amore che si dona incondizionatamente e l’anima riscattata dell’uomo umiliato: [… ] Portami le due cose più preziose che trovi nella città, disse Dio a uno dei suoi Angeli; e l’Angelo gli portò il cuore di piombo e l’uccello morto. “Hai scelto bene,” gli disse Dio “poiché nel mio giardino del Paradiso questo uccellino canterà in Eterno, e nella mia città d’oro il Principe Felice mi loderà”. Così si conclude la fiaba del Principe Felice.

 

Tags: BerlinalecinemaHappy PrinceOscar WildeRupert Everett
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