Ci sono città che hanno costruito la propria identità su un’idea, un profumo, un sapore. Perugia, da più di un secolo, vive all’ombra – o forse al profumo – del cacao. Ma oggi la città umbra tenta qualcosa di diverso: trasformare quella che era una tradizione industriale e artigianale in un’esperienza culturale totale. È nata così La Città del Cioccolato, il più grande museo esperienziale al mondo dedicato al cacao, allestito dentro l’ex Mercato Coperto, un edificio razionalista del 1932 che domina il centro storico come un monumento al commercio e alla memoria collettiva.
In un’epoca in cui i distretti produttivi si svuotano e la manifattura diventa virtuale, Perugia sceglie di rientrare nella geografia dolce dell’industria, ma per la via opposta: non più fabbriche, ma esperienze. L’investimento – sei milioni di euro, una concessione trentennale del Comune e una campagna di crowdfunding che ha coinvolto quasi duecento piccoli investitori – non è solo economico. È un gesto di restituzione.
La società Destinazione Cioccolato Srl SB, nata per il progetto e sostenuta da Intesa Sanpaolo e dal programma ministeriale Italia Economia Sociale, ha messo in moto un cantiere che ha impegnato oltre duecento persone. Il risultato è un percorso di 2.800 metri quadri che unisce tecnologia, artigianato e immaginario popolare.
Entrare nella Città del Cioccolato non è come visitare un museo tradizionale. È più simile a tornare bambini, in una foresta di profumi, suoni e luci. Dalla storia del cacao alla geografia delle piantagioni, fino alla “fabbrica bean-to-bar” dove si può creare la propria tavoletta, ogni sezione tenta di raccontare il cioccolato come prodotto culturale prima ancora che alimentare.
Nel piano inferiore, tra piante tropicali e fotografie in bianco e nero delle Mujeres del Cacao, il percorso assume toni quasi politici. Mostra la filiera, la fatica e la disuguaglianza che si nascondono dietro ogni barretta. E ricorda, con delicatezza, che il piacere ha un costo, e che quel costo è quasi sempre pagato altrove, nelle piantagioni equatoriali.
A pochi passi dal museo, in via Alessi, è stato restaurato il primo laboratorio Perugina, fondato nel 1907 da Luisa Spagnoli. Lì, dove nacque il Bacio, l’Italia industriale aveva ancora il volto artigiano delle mani. Oggi quegli stessi spazi, ribattezzati LAB – Luisa Annibale Base, diventano luogo di formazione e sperimentazione per maestri cioccolatieri e curiosi. È una citazione diretta di un’epoca in cui l’industria dolciaria italiana riusciva a coniugare lavoro e sogno, produzione e identità.
“Perugia è nell’immaginario collettivo la città del cioccolato”, ha ricordato Vasco Gargaglia, presidente della società che gestisce il progetto. “Quello che era un sogno, ora diventa realtà”.
C’è un sottotesto in queste parole: il tentativo di restituire alla città ciò che la globalizzazione aveva portato via. Negli anni in cui la Perugina finiva nel portafoglio di multinazionali straniere, Perugia smetteva di essere un luogo di produzione per diventare un marchio. Ora, con il museo, quel marchio torna a essere racconto, materia viva.
La parte più sorprendente del percorso è quella scientifica. Qui, tra pannelli sull’impatto ambientale e installazioni sull’economia del cacao, trova spazio il Cocoa of Excellence Programme, il laboratorio internazionale che seleziona i migliori cacao del mondo e racconta, passo dopo passo, la complessità che si nasconde dentro una tavoletta di cioccolato.
Alla fine del percorso, i visitatori arrivano al Choco Shop, il più grande negozio di cioccolato al mondo. Centocinquanta produttori da 34 Paesi, dalle micro realtà artigiane ai grandi nomi dell’industria. Poco più in là, sulla terrazza del Mercato Coperto, il The Chocolate Bar promette peccati di gola e panorami su Assisi.
A prima vista, tutto questo potrebbe sembrare l’ennesima operazione di marketing esperienziale. In realtà racconta un tentativo più concreto: restituire a Perugia un legame con la propria storia produttiva. La Città del Cioccolato ne è una sintesi efficace: non una fabbrica, ma un luogo che ripercorre la filiera e ne traduce la memoria in esperienza culturale.
La canzone del video è “Il mio compleanno” di @BeaBaleari
















