Dopo anni di ruoli costruiti sul fascino controllato, si mette in gioco in Una famiglia sottosopra, commedia di Alessandro Genovesi in cui il caos diventa l’unico modo per ritrovare un ordine possibile.
Presentato nella sezione autonoma Alice nella Città, è la storia di un uomo normale — e già questo, per Argentero, è una novità.
Alessandro Moretti non lavora da anni. Vive in una casa dove la moglie regge tutto, i figli lo ignorano e la suocera osserva in silenzio. La routine è fatta di piccoli fallimenti quotidiani, risposte mancate, un senso di distanza che cresce senza rumore. Finché, durante una gita a Gardaland, un cortocircuito inspiegabile ribalta ogni cosa: al risveglio, ognuno si ritrova nel corpo di un altro.
Non è un’idea nuova — il cinema ha giocato mille volte con lo scambio dei corpi — ma Genovesi la usa come strumento di diagnosi. Il film non chiede di sospendere l’incredulità: chiede di restare, di guardare come reagiamo quando il nostro punto di vista smette di essere l’unico.
Argentero, che interpreta il padre, si trova improvvisamente a vivere la giornata di sua figlia adolescente. Non la osserva più da fuori, ci abita dentro: le ansie, le fragilità, la sensazione di non essere mai abbastanza. È un gioco comico, certo, ma anche un modo per parlare di empatia senza dichiararlo.
E l’empatia, qui, non è una parola buona per le interviste. È una fatica. Capire gli altri richiede tempo, e tempo è proprio ciò che la famiglia di Moretti non ha più.
Genovesi dirige come un coreografo che conosce il valore del disordine. Le scene si muovono tra caos domestico e momenti di quiete quasi imbarazzata. Quando la commedia rallenta, emergono dettagli che valgono più delle battute: uno sguardo che evita l’altro, una cena in silenzio, un abbraccio che arriva troppo tardi.

Argentero sembra più a suo agio proprio quando smette di piacere. Si concede l’imperfezione, il disagio, la goffaggine. Il suo personaggio non si redime, semplicemente si accorge di esistere. Lodovini, dal canto suo, tiene insieme tutto con un realismo privo di compiacimento: è una donna che ama ma non idealizza, che sopporta più di quanto vorrebbe, e che forse si salva solo accettando di essere vista finalmente per intero.
Girato tra Roma e le attrazioni di Gardaland, il film usa il parco come simbolo di un’illusione collettiva: un posto dove tutto sembra divertente, ma dove in realtà nessuno si diverte davvero. È lì che la famiglia Moretti si smarrisce — e, per assurdo, si ritrova.
Una famiglia sottosopra dura poco più di un’ora e mezza. È una commedia dichiarata, ma attraversata da un’ironia sottile che non copre il disagio. Genovesi sembra dire che dietro ogni famiglia ordinaria si nasconde un piccolo esperimento di sopravvivenza.
E quando, nel finale, tutto torna apparentemente al suo posto, resta la sensazione che niente sia davvero cambiato — se non la consapevolezza di quanto poco conosciamo chi ci vive accanto.

















