Alla fine degli anni novanta, mentre l’Italia si illudeva che la modernità coincidesse con i centri commerciali e i villaggi turistici, in una piccola lingua di costa del sud della Sardegna un pastore di ottant’anni cominciava la sua guerra personale.
Si chiamava Ovidio Marras e possedeva un terreno affacciato sul mare di Tuerredda, uno dei luoghi più belli e intatti dell’isola. Quando arrivarono le prime lettere delle società immobiliari, che gli proponevano cifre impensabili per la sua vita da allevatore, Marras non accettò. Disse no, e quel no divenne un atto politico.
Da quella storia nasce La vita va così, il nuovo film di Riccardo Milani, scelto come titolo d’apertura della 20ª Festa del Cinema di Roma. È un film che, come accade nei lavori migliori del regista romano, mette in scena l’Italia dei conflitti quotidiani: le comunità divise, la dignità che resiste, la politica che non arriva mai. Ma stavolta Milani va oltre la commedia civile: costruisce un racconto che somiglia a una parabola, una storia di testardaggine e libertà che diventa allegoria del nostro tempo.
Il film comincia con Efisio Mulas (interpretato da Giuseppe Ignazio Loi), un pastore anziano che vive solo, tra il mare e i suoi animali, nella casa dove è nato. Non ha mai lasciato quel pezzo di terra. La sua vita è semplice, scandita dal ritmo delle stagioni e dal suono del vento. Dall’altra parte c’è Giacomo (Diego Abatantuono), presidente di un potente gruppo immobiliare, un uomo convinto che il futuro appartenga a chi costruisce. Vuole trasformare quella costa in un resort di lusso.
A mediare tra i due mondi c’è Mariano, capocantiere pragmatico interpretato da Aldo Baglio, e soprattutto Francesca (Virginia Raffaele), la figlia del pastore, che oscilla tra l’attaccamento alle radici e il desiderio di un cambiamento che porti lavoro e sicurezza.
Quando Efisio rifiuta l’ennesima offerta milionaria, la trattativa si trasforma in una battaglia legale. In tribunale la causa arriva a Giovanna (Geppi Cucciari), una giudice sarda tornata nei luoghi dove è cresciuta. È lei, alla fine, a incarnare la domanda che attraversa tutto il film: si può conciliare la sopravvivenza economica con la difesa della propria identità?
Milani sceglie un tono sospeso tra realismo e poesia. Non c’è nostalgia, ma una malinconia concreta, fatta di sguardi, pietre, animali e silenzi. La Sardegna filmata da Simone D’Onofrio e Saverio Guarna non è mai da cartolina: è una terra splendida e ostinata, percorsa da un vento che scava le rughe dei volti e i confini della coscienza.
La vita va così non parla soltanto di un uomo che difende il suo terreno, ma di un paese intero che ha smesso di difendere sé stesso. “Non è solo la storia di un uomo che ha avuto il coraggio di dire di no”. “È anche la storia di una comunità stretta tra la necessità del lavoro e il rispetto del territorio, dove il conflitto porta dolore e spaccature. Ho cercato l’umanità che resta nascosta in ognuno di noi, anche quando l’ostilità sembra prevalere”.
In questo senso, il film è meno un dramma sociale e più un racconto morale. Ogni personaggio rappresenta una parte del paese: chi vende e chi resiste, chi sogna e chi ha paura. Nel mezzo, la politica — che nel film è quasi assente, confinata nei corridoi polverosi delle amministrazioni locali. “Lì, nel Sud Sardegna, il concetto stesso di Stato è lontano”, ha spiegato Milani. Ed è proprio questa assenza a rendere eroica la solitudine di Efisio: un uomo senza studi, ma con un’etica incrollabile.
La vita va così funziona perché non cede mai al sentimentalismo. Anche quando sorride, mantiene una durezza realista che ricorda il cinema di denuncia degli anni settanta. Le scene di comunità — i bar, le assemblee, i dialoghi tra pastori e politici — restituiscono un’Italia che non sa più parlare la lingua della solidarietà. Ma accanto a questo realismo c’è la leggerezza della commedia, che Milani utilizza come un’arma gentile. È grazie all’ironia che il film riesce ad arrivare al pubblico più vasto senza perdere la complessità del suo messaggio.
Giuseppe Ignazio Loi, pastore nella vita reale, dà al suo Efisio una naturalezza disarmante, fatta di dignità e pudore. Abatantuono lavora in sottrazione, disegnando un imprenditore ambiguo ma non caricaturale. Virginia Raffaele, che ha confessato di aver studiato il sardo “come l’inglese”, regala al personaggio della figlia un’umanità piena di contraddizioni. E Geppi Cucciari, con la sua voce ferma e ironica, chiude il cerchio con un’interpretazione che è insieme popolare e civile.
Il titolo, La vita va così, è insieme constatazione e ammonimento. Dice che le cose spesso vanno come devono, ma anche che a volte bisogna fermarsi e scegliere dove andare. È una frase che suona come una resa, e invece è una forma di resistenza. Perché, come scriveva un pastore-poeta sardo negli anni settanta, «non è la terra che appartiene all’uomo, ma l’uomo che appartiene alla terra».
Ed è proprio lì, in quella consapevolezza antica e fragile, che La vita va così trova la sua forza più grande.
La vita va così è nelle sale italiane dal 23 ottobre, distribuito da Medusa Film e PiperFilm.