La regista newyorkese Nia DaCosta ha ricevuto il premio Progressive alla Carriera, consegnato dalla Direttrice Artistica della Festa del Cinema, Paola Malanga. Nia DaCosta è autrice di acclamati titoli come il crime Little Woods, esordio premiato al Tribeca Film Festival con il Nora Ephron Prize; l’horror Candyman, primo film diretto da una donna afroamericana ad aprire in testa al box office USA; e il fantasy The Marvels, trentatreesimo film del Marvel Cinematic Universe. In attesa di 28 anni dopo – Il tempio delle ossa, nuovo capitolo della famosa saga in uscita nel 2026, la regista è arrivata alla Festa del cinema di Roma con Hedda. Il film è un’originale rilettura cinematografica – adrenalinica, trasgressiva ed esplicitamente femminista – di “Hedda Gabler”, il dramma pubblicato da Henrik Ibsen nel 1890.
In uscita il 22 ottobre 2025 nelle sale e il 29 ottobre su Prime Video, protagonista è Tessa Thompson, qui in una delle sue interpretazioni più complesse: una donna brillante, elegante, ma prigioniera di un matrimonio di convenienza e di un mondo che la soffoca. La sua Hedda è una creatura inquieta, divisa tra la fame di libertà e la paura del vuoto, una “regina” che vorrebbe dominare la propria vita ma finisce per distruggerla.
DaCosta racconta di aver letto Ibsen come un testo “oscuro, divertente, sexy e disperato” e di aver voluto restituire proprio quella miscela di ironia e tragedia spesso smussata dalle versioni teatrali. Il suo Hedda è un film che vibra di modernità pur restando ancorato alla classicità, un adattamento che non teme di reinventare i personaggi e i ruoli di potere.
La scelta più radicale è quella di trasformare Ejlert Lövborg, l’amante perduto della protagonista, in Eileen, interpretata da Nina Hoss: una scrittrice geniale e tormentata, ex alcolista in cerca di riscatto. Il cambiamento di genere sposta l’asse del racconto e crea un triangolo inedito di tre donne — Hedda, Eileen e Thea (Imogen Poots) — ciascuna impegnata a cercare una propria forma di libertà in un mondo che non la concede. “È diventata una storia su come le donne trovano potere e identità dentro e contro i confini imposti”, spiega DaCosta.
Il film si svolge nell’arco di una sola notte, durante una cena di gala che degenera rapidamente in un incubo di gelosie e manipolazioni. Nella villa lussuosa ma in decadenza dove tutto accade, i lampadari crollano, le maschere sociali si spezzano e i personaggi mostrano la loro fame di riconoscimento e di amore. Accanto a Thompson e Hoss, Tom Bateman interpreta il marito George, giovane e ambizioso ma schiacciato dall’insicurezza, mentre Nicholas Pinnock è il giudice Brack, figura di potere che gioca con Hedda in un continuo duello di controllo.
Visivamente, Hedda è un banchetto per gli occhi: la fotografia di Sean Bobbit (12 Years a Slave) si ispira ai dipinti silenziosi e inquieti di Vilhelm Hammershøi, mentre la scenografia di Cara Brower trasforma la casa in un labirinto di specchi, colori marci e bellezza in decomposizione. Il tutto è accompagnato dalla colonna sonora ipnotica di Hildur Guðnadóttir, che alterna respiri, percussioni e voci, come un’eco della mente tormentata di Hedda.
Tessa Thompson — che produce anche il film — descrive la sua protagonista come “una donna che confonde la libertà con il potere, l’amore con il controllo”. E aggiunge: “Forse è rovinata, o forse finalmente libera. Nia ci lascia nel dubbio, e proprio lì risiede la forza del film.”
Hedda è dunque molto più di un adattamento: è una riflessione contemporanea sul desiderio di essere visti, sulla fame di potere che divora l’amore, e su come la ribellione possa diventare una forma di autodistruzione. Un film elegante e feroce, dove il dramma psicologico di Ibsen si trasforma in un moderno thriller d’autore — e dove ogni sorriso di Tessa Thompson può essere insieme un invito, una minaccia e un addio.