Come può un paese affrontare una minaccia quando la minaccia stessa è la sua percezione della realtà? Zero Day, la miniserie di Netflix è un’analisi inquietante sulla fragilità della verità e sulla sua manipolazione. La narrazione si affida a sovrapposizioni multiple, senza mai collassare in una rivelazione definitiva. Eppure, la tensione resta, vibrante e opprimente. Come è possibile?
L’ex presidente George Mullen Robert De Niro, figura carismatica ma corrosa dal passato, viene richiamato dalla presidente in carica Evelyn Mitchell (Angela Bassett) per guidare la Zero Day Commission, un comitato con poteri extragiudiziali incaricato di indagare su un attacco informatico su scala nazionale. Una frase appare su milioni di schermi: QUESTO ACCADRÀ DI NUOVO. Ma è davvero questa la minaccia, o è solo un pretesto per reimpostare i confini del potere?
La serie si muove in una zona di ambiguità continua. Il nemico esiste o è un fantasma creato dal sistema per giustificare misure straordinarie? Mullen è un eroe chiamato a salvare il paese o un uomo manipolato da forze che comprendono meglio di lui il gioco del controllo? Zero Day gioca con il doppio statuto della verità. La realtà raccontata dai media e dalle istituzioni è accurata o è solo una messa in scena? La minaccia di un nuovo attacco è concreta o un dispositivo narrativo creato per spostare l’opinione pubblica? A rendere ancora più instabile il terreno c’è la presenza di Evan Green (Dan Stevens), un teorico della cospirazione che non smette di denunciare la corruzione del sistema.
Mullen, interpretato da un De Niro in perenne tensione tra lucidità e disorientamento, incarna il paradosso del potere: un uomo che si trova al centro della crisi, ma che fatica a comprendere il ruolo che gli è stato assegnato. C’è un momento, quasi impercettibile, in cui la sua espressione cambia: un breve attimo di realizzazione, un lampo di consapevolezza che però evapora subito, inghiottito dal meccanismo più grande di lui. La sua figura diventa il punto di riferimento emotivo per lo spettatore, ma anche la prova che ogni certezza è un’illusione.
Zero Day non concede spiegazioni. Non dice chi ha ragione e chi torto. Non offre nemmeno un climax convenzionale: non c’è una scena risolutiva, solo una serie di frammenti che si sovrappongono e si contraddicono a vicenda.
Il vero colpo di scena della serie non è un evento, ma una consapevolezza: non esiste una verità univoca. Mullen crede di essere il protagonista della storia, ma forse non lo è mai stato. Il potere non è nelle mani di chi governa, ma di chi controlla la narrazione. Il pubblico viene lasciato con una domanda inquietante: se non possiamo fidarci di nulla, cosa rimane di reale?