C’è stato un tempo in cui Hugh Grant era l’incarnazione del perfetto inglese impacciato e irresistibile. Poi sono arrivati gli anni, le rughe, e probabilmente la voglia di dire addio per sempre a quel povero cristo di William Thacker (Notting Hill, per chi avesse vissuto sotto un sasso dal ‘99). In Heretic, l’ex re delle commedie romantiche si trasforma in un villain psicotico con una passione discutibile per le conversioni forzate. E sapete una cosa? È maledettamente bravo.
Dopo settimane di attesa e trailer criptici, finalmente arriva al cinema questo thriller horror firmato da Scott Beck e Bryan Woods, due che hanno il curriculum giusto per promettere tensione (A Quiet Place, tanto per dire). Ma attenzione: se cercate un horror con jumpscare a pioggia e porte che sbattono a caso, Heretic potrebbe spiazzarvi. Qui si gioca più sulla psicologia, sul disagio costante e su quei silenzi carichi di terrore che ti fanno pentire di aver messo le mani nel secchio dei popcorn.
La storia segue due giovani missionarie mormoni, interpretate da Sophie Thatcher e Chloe East, che bussano alla porta sbagliata: quella di Mr. Reed, un enigmatico inglese che, anziché convertirsi, ha in mente tutt’altro. Inizia così un gioco perverso che sfida le loro convinzioni e, soprattutto, la loro sopravvivenza.

Il film, nonostante il titolo e le atmosfere cupe, non si butta sul satanismo da discount né sulle possessioni demoniache già viste mille volte. Qui il vero orrore è umano, ed è proprio Hugh Grant a incarnarlo in modo disturbante. Il suo Mr. Reed è inquietante, carismatico, sadico quanto basta per farci dimenticare i suoi giorni da premier ballerino in Love Actually. Grant si mangia la scena con una performance glaciale, dimostrando che bravo attore può reinventarsi anche dopo decenni di sorrisini impacciati e flirt sotto la pioggia.
Gran parte dell’azione si svolge dentro casa Reed, un ambiente opprimente che diventa una trappola per lo spettatore e le protagoniste. La fotografia è scura, a tratti quasi soffocante, e l’uso del suono è geniale: ci sono momenti in cui l’assenza totale di rumore è più spaventosa di qualsiasi musica sinistra. E poi c’è la regia, che regala inquadrature così strette su Grant da far venire voglia di allontanarsi dalla poltrona. Il suo sguardo, il modo in cui inclina leggermente la testa mentre parla, la calma apparente che minaccia di esplodere… tutto contribuisce a rendere Heretic un’esperienza immersiva e disturbante.
Non tutto è prevedibile, e questo è già un punto a favore in un genere spesso vittima della ripetitività. Certo, il finale potrebbe dividere il pubblico (niente spoiler, ma diciamo che ci sono scelte discutibili), e la seconda metà perde un po’ della potenza della prima. Tuttavia, il film regala spunti di discussione: credenze, fanatismo, il potere della mente.
Quindi, vale la pena vederlo? Assolutamente sì. Non è un horror da pop-corn facile, ma un thriller psicologico che ti scava dentro. E, soprattutto, è la dimostrazione che Hugh Grant ha ancora tanto da dire al cinema – e questa volta non con una dichiarazione d’amore sotto la pioggia.