È arrivato nelle sale uno dei più delicati e originali oggetti cinematografici dell’anno. Con il suo terzo lungometraggio da regista, Jesse Eisenberg ci consegna A Real Pain, un road movie di straordinaria sensibilità, che attraversa con passo leggero e meditativo i paesaggi della memoria e del dolore. Un film che è al tempo stesso una lettera d’amore alla storia familiare e una riflessione sulla distanza – fisica, emotiva, generazionale – che il trauma può scavare tra le persone.
Un viaggio, innanzitutto. La Polonia, la Storia, il passato. Due cugini, Benji (Kieran Culkin) e David (lo stesso Eisenberg), decidono di usare l’eredità della loro nonna per intraprendere un tour guidato nei luoghi della memoria ebraica. Ad accompagnarli, un gruppo variegato di viaggiatori: l’entusiasta James (Will Sharpe, con un accento dello Yorkshire che si incolla alle battute), la malinconica Marcia (Jennifer Grey, icona di Dirty Dancing), la coppia di mezza età Diane e Mark (Liza Sadovy e Daniel Oreskes), e l’enigmatico Eloge (Kurt Egyiawan), un canadese di origini ruandesi convertitosi all’ebraismo.
Ma più che la destinazione, qui conta il percorso. La Storia irrompe, senza mai soffocare, tra le risate soffiate via dal fumo denso delle canne che i cugini fumano sui tetti degli hotel. Eisenberg ci porta a Lublino, a Majdanek, alle città che furono di sua nonna, della sua famiglia, ma lo fa senza retorica, senza inginocchiarsi alla solennità della memoria, bensì trasformando il viaggio in un gioco di specchi tra passato e presente, tra l’ineluttabilità della perdita e il desiderio di ridere ancora. La fotografia di Michal Dymek cattura questa tensione con inquadrature che sfumano tra la polvere della storia e la vitalità di una Varsavia moderna, tra i riflessi delle vetrate degli hotel e i volti stanchi dei viaggiatori.
Se A Real Pain è una riflessione sulla memoria, è anche e soprattutto un film sui legami. Quelli interrotti, sfilacciati, pieni di incomprensioni e di ferite non rimarginate. Benji e David sono due poli opposti che si attraggono e si respingono: il primo è puro istinto, esplosività incontrollata, affascinante e disturbante nella sua irrequietezza; il secondo è chiuso, represso, nevrotico, incapace di abbandonarsi. Kieran Culkin è magnifico nel dare vita a un personaggio che brucia troppo in fretta, che affascina e stanca allo stesso tempo, che lascia segni ovunque vada. Eisenberg, dal canto suo, incarna con disarmante naturalezza l’ansia di chi non sa più trovare il proprio posto.