Per anni la serata delle cover è stata una delle più attese del Festival di Sanremo. Un momento in cui gli artisti potevano giocare con il repertorio della musica italiana e internazionale, sperimentando o semplicemente cercando un’ovazione sicura. Negli ultimi anni, però, l’approccio è cambiato. Meno omaggi calligrafici, più voglia di reinterpretare, di piegare il passato al presente. Ma anche più autocelebrazione, più bisogno di spettacolarità fine a sé stessa, più ricerca del colpo a effetto che faccia parlare il giorno dopo.
La quarta serata del Festival 2025 non fa eccezione. Il trionfo di Giorgia e Annalisa, impeccabili nell’interpretazione di Skyfall di Adele, era prevedibile: due delle voci più raffinate della musica italiana su un brano che valorizza al massimo l’intensità vocale e la costruzione emotiva del pezzo. Nulla di rivoluzionario, ma una vittoria meritata perché in linea con lo spirito della serata.
Eppure, il momento più sorprendente non è stato il loro. A catturare l’attenzione è stato Lucio Corsi, che ha scelto di omaggiare Domenico Modugno con Nel blu dipinto di blu—ma non lo ha fatto da solo. Sul palco con lui è arrivato Topo Gigio, in una scena surreale che ha oscillato tra l’omaggio ironico e il puro teatro dell’assurdo. Una scelta che ha diviso: geniale per chi ha visto nell’operazione una rottura delle convenzioni, grottesca per chi avrebbe preferito un’esecuzione più fedele.
Di certo, però, non è stata la performance più discussa della serata. Quel titolo spetta a Fedez e Marco Masini, che hanno riportato sul palco Bella stronza, ma con una riscrittura pesante da parte del rapper. Fedez ha aggiunto strofe nuove, trasformando la canzone in un racconto personale che tocca il tema della malattia, delle relazioni complicate e della disillusione. Il risultato è stato uno strano ibrido tra una confessione in musica e un esercizio di stile, con versi come “Ho una cicatrice sulla pancia che mi ha fatto meno male” e “Ho visto tutti i miei castelli dissolversi in granelli”, che hanno dato al brano una dimensione più intima e dolorosa. Se l’intento era colpire, l’obiettivo è stato raggiunto, ma a quale prezzo? La modifica di un brano così iconico ha lasciato perplessi, e l’operazione è sembrata più un tentativo di auto-narrazione che un vero duetto con Masini.
E poi è arrivato Roberto Benigni, in un intervento che si sarebbe potuto evitare. Un monologo che sa di déjà-vu, un tentativo di scacciare via qualche granello di polvere dalla sua carriera con battute forzate e un’autocelebrazione appena mascherata. Qualche lampo della vecchia genialità c’è stato, ma il tempo in cui incendiava l’Ariston con la sua irriverenza sembra ormai un ricordo lontano.
Il resto della serata ha oscillato tra momenti di grande intensità e operazioni meno riuscite. Irama e Arisa hanno scelto Say Something, con un’esecuzione elegante ma senza guizzi. Olly con Goran Bregović ha portato Il pescatore, donandogli un nuovo respiro ritmico, mentre Brunori Sas con Dimartino e Riccardo Sinigallia ha affrontato L’anno che verrà, forse il brano più vicino alla tradizione sanremese per il suo valore simbolico.
Se un filo conduttore c’è stato, è quello di una serata sempre più pensata per il consumo istantaneo, per i social, per il dibattito online più che per la musica in sé. Non è più il momento della canzone sanremese da classifica, e nemmeno dell’omaggio puro. È la stagione degli esperimenti a metà, delle provocazioni studiate, delle operazioni calcolate per diventare virali. Ora resta solo la finale, il momento decisivo. Ma già da ora è chiaro che Sanremo 2025 non è più il festival delle canzoni senza tempo: è quello delle canzoni per il presente, per il qui e ora. E forse, in un’epoca che vive di attimi, è proprio questo il suo senso.