Esce in anteprima il 27 gennaio, Giorno della Memoria, quest’anno più divisivo che mai, e dal 30 nelle sale, il film “Simone Veil, la donna del secolo”, anima dell’Europa. Donna, ebrea, deportata e sopravvissuta, poi magistrato, ministro, prima presidente eletta, e donna, del Parlamento Europeo. Fu la voce dei diritti dei più fragili e la voce di un’Europa che non sembriamo più riconoscere. Un’Europa di solidarietà, libertà e democrazia, nata dalle ceneri e dallo sterminio della Seconda Guerra Mondiale.
Il bellissimo film francese di Olivier Dahan interpretato con grande intensità da Elsa Zylberstein e Rebecca Marder, ripercorre “a mosaico” la biografia della grande politica. Un ritratto intimo della sua vita privata e della sua vita pubblica, una grande eredità ideale e civile, percorsa dalla ferita mai sanata di Auschwitz. “Il mio impegno a favore dell’Europa è fortemente legato alla mia deportazione” disse.
La trasmissione della memoria
Come dice il regista Olivier Dahan, sotto traccia scorre nel film “Simone Veil, la donna del secolo” il tema della memoria e della trasmissione della storia, andando ben oltre il tema della Giornata della Memoria. Ne ragiona la stessa protagonista. Il tema non solo di come si trasforma la lettura e la testimonianza della storia, ma anche di cosa resta dentro di noi come memoria di ciò che è stato, memoria individuale e storia collettiva. Come ci abita, con gli anni e con il cambiare in noi, la lettura degli stessi ricordi. Come si manifesta dentro di noi la potenza di ciò che ci ha dato forma, vedi, nel caso di Simone, il rapporto con la madre, la potenza di ciò che abbiamo amato, di ciò di cui abbiamo sofferto.
La forza di un’infanzia felice
Alle origini di Simone Jacob, questo il cognome, c’è un’infanzia felice in una famiglia ebrea, ma fortemente laica e democratica, con due sorelle e un fratello, un padre convinto che la Repubblica francese non li avrebbe mai traditi, una madre amabile e amatissima. Questa infanzia radiosa, illuminata dal sole e dai riflessi del mare a La Ciotat, sarà per sempre la forza di Simone e insieme lo strazio per la perdita della sua famiglia. Assunta l’importanza del trauma della deportazione, la sceneggiatura ha scelto di dare spessore a ogni fase della vita di Simone: l’infanzia, le sue rilevanti battaglie politiche, la sua nuova famiglia felice, le sue tragedie, narrate attraverso le parole della stessa Simone Veil, a dire che Simone è stata quello che è stata, soprattutto perché era Simone.
La deportazione, evento atroce, parallelo a quello raccontato in Italia da Liliana Segre, marcia della morte inclusa (Simone aveva tatuato sul braccio il 78.651, Liliana il 75.190), viene presagita durante tutto il film, ma rappresentata solo nella seconda parte, come una promessa inevitabile. Nella prima parte, invece, si legge l’emergere della forza morale di Simone, l’incontro fortunato con il marito, Antoine Veil (interpretato da Olivier Gourmet e Mathieu Spinosi), la vita insieme non sempre facile, i tre figli, le sue confidenze con l’amata sorella Milou, anche lei scampata ad Auschwitz ma non ai casi della vita.
Si segue la sua progressiva convinzione, dopo la laurea a scienze politiche, a occuparsi di diritti, e quindi avvocato, magistrato, prima presidente donna del Consiglio Superiore della Magistratura. Simone Veil diventa quindi una statista negli anni Settanta, prima Ministro della salute, fautrice della depenalizzazione dell’aborto in Francia, e in seguito europarlamentare e prima donna e primo presidente eletto del Parlamento europeo nel 1978 e fino al 1982.
“Dignità umana”, è la sua parola chiave
E’ entusiasmante seguirne i passi, le sue esperienze nelle carceri come magistrato di sorveglianza, le sue richieste per le cure sanitarie, per condizioni più umane. Le pretende e le ottiene anche per i prigionieri algerini a Tunisi, come poi in seguito si batte per i malati di Hiv e contro la diffusione della malattia. “Dignità umana” è la sua parola chiave. Non demorde, affronta burocrazia e pregiudizi, vince tante battaglie, mai quanto vorrebbe. “Non mi fate paura, sono sopravvissuta a peggiori di voi!” dice ad un comizio per le europee ai contestatori del Front National per la sua battaglia in favore dell’aborto legalizzato. Tra le tante tappe importanti della sua vita, la sua critica all’atteggiamento cieco europeo e del mondo per la guerra in Jugoslavia nel 1992.
Nel 2004 il ritorno ad Auschwitz
Il suo ritorno ad Auschwitz nel 2004 con la famiglia apre il capitolo dei ricordi e delle considerazioni sul presente. Lucida e drammatica la sua consapevolezza, nel tempo, che “sia i sopravvissuti e i testimoni sono stati messi a tacere” nel dopoguerra, che il ricordo della Shoah disturba. È forte il timore che venga dimenticato: “Siamo la spina nella loro memoria collettiva”.
La paura che la storia svanisca: “La memoria passa dalle parole, Simone” dice il marito incoraggiando l’anziana Simone che sta scrivendo i propri ricordi. “Non mancheranno i libri – lei risponde – ma il contatto con chi può dire: io c’ero”. Ma, come ha citato Tuttolibri della Stampa, recensendo le memorie di Veil appena uscite, lei ha detto: “È necessario essere disposti a fare delle concessioni, dei sacrifici, anche se può essere molto duro sul piano affettivo, se si vuole che i giovani abbiano un futuro che non sia condizionato in partenza dal rancore, dall’odio, dal desiderio di rivalsa e di vendetta”.
Non un biopic, ma la forza della narrazione
Il film “Simone Veil, la donna del secolo” nasce dalla proposta al regista Olivier Dahan da parte dell’attrice Elsa Zylberstein di realizzare un film sulla Veil. Alcune coincidenze lo incoraggiano: è nato a La Ciotat e suo padre era un militante antirazzista ed è scampato agli arresti tedeschi. “Sono cresciuto in un ambiente familiare dove queste questioni erano molto concrete. Simone Veil, la donna del secolo, è prima di tutto un film sulla trasmissione della storia”, la vera ragione, afferma, per cui ha cercato di fare il film, un vero, e riuscito, film, non un biopic.
E questa forza della narrazione, infatti, dell’interpretazione e della rappresentazione si sentono moltissimo. Per scrivere la sceneggiatura il regista ha trascorso due mesi di ritiro in letture su tutto ciò che Veil ha detto e fatto, soprattutto per rintracciare quella vita intima di cui non sono state lasciate parole scritte. Sulla struttura “a mosaico”, “una storia non è necessariamente lineare, – spiega il regista – e questo approccio mi permette anche di liberare la creatività. Non sono dei flashback o dei flashforward, ma delle rime. Rime di colori, suoni, parole”.
Per le protagoniste una mimesi totale
Per Elsa Zylberstein “Simone Veil, la donna del secolo” restituisce a Veil l’umanità, la sua forza e le sue fragilità che non tutti avevano colto. Ho voluto che le nuove generazioni la incontrassero, perché è un esempio di donna impegnata, moderna e unica. Lei fa parte della Storia, ma credo che parli a tutti”.
Le due interpreti, oltre a imparare la storia di Veil nei dettagli, hanno dovuto affrontare un diverso lavoro di mimesi. Elsa, che ha interpretato la Veil pubblica e quindi nota attraverso tv e interviste, ha dovuto compiere un’opera di mimesi totale. “Ho imparato a camminare come lei, ho passato giorni, settimane, ad esercitarmi a parlare come lei – dice – , con quel particolare ritmo, quella maniera di accentuare le parole, di accelerare improvvisamente, di lasciare le frasi in sospeso. Il suo modo di parlare è una musica”.
Anche per Rebecca Marder l’incontro con Simone sembra essere un destino. “Avevo letto l’autobiografia Une vie due anni prima, mi aveva sconvolta e non avrei mai immaginato che avrei avuto l’onore di interpretarla. Per me, lei rappresenta la forza, una donna a cui le giovani ragazze e i giovani uomini devono molto. È impensabile che le battaglie che ha combattuto debbano ancora essere portate avanti oggi. Ciò che mi colpisce e mi impressiona di più in lei è la sua fede nell’umanità. Alcuni sopravvissuti ai campi avevano un terribile senso di colpa che impediva loro di andare avanti. Al contrario, in lei c’era la convinzione che il fatto di essere sopravvissuta dovesse servire a qualcosa. C’è in lei un universalismo e una fede nella laicità incredibili”.
Il film è distribuito da Wanted Cinema, qui le sale in cui è in programmazione