Francesca Mannocchi, tra le migliori reporter di guerra della sua generazione, presenta alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Special Screenings, Lirica Ucraina, una produzione di Fandango che trascende il resoconto giornalistico per trasformarsi in una lirica di dolore e resilienza. Il film, girato con una sensibilità profonda e un rispetto silenzioso per i sopravvissuti ucraini della tragedia di Bucha, è un mosaico di voci e immagini che raccontano il dramma di un popolo ferito e, allo stesso tempo, tenace.
Un bambino che raccoglie un frammento di bomba tra le macerie è una delle prime immagini del film, emblema della brutalità della guerra che strappa l’innocenza e trasforma i civili in custodi di una memoria dolorosa e ineludibile.
Appena due giorni dopo il massacro, la Mannocchi è già a Bucha, e sceglie di farsi da parte per lasciare tutto il palcoscenico alle voci degli ucraini. La sua telecamera diventa l’unico filo diretto tra noi e il cuore del conflitto: uno sguardo che non si tira indietro, ma si tuffa nella devastazione, senza filtri né compromessi. Qui, tra frasi rotte, sguardi intensi e dettagli che parlano più di mille parole, si rivela la sua missione: documentare senza sentenziare, ma con un obiettivo cristallino – portare alla luce una verità che non ammetta distorsioni o dubbi.
La regista sceglie di fare un passo indietro: niente voce narrante, niente commenti che filtrano o guidano. È come se ci stesse dicendo che, di fronte all’orrore, ogni parola in più sarebbe superflua. Così, dolore e speranza si fanno strada direttamente dalle voci di chi ha dovuto accettare l’amara verità di essere sopravvissuto, spesso tormentato dal senso di colpa.
La colonna sonora di Jacopo Incani (Iosonouncane), ispirata alle sonorità di Philip Glass in Koyaanisqatsi amplifica il senso di alienazione e l’immobilità opprimente dei paesaggi devastati dalla guerra, mentre accompagnano le voci che raccontano storie di privazioni e sopravvivenza.
A Bucha, una donna racconta: «Nove vittime su dieci sono civili». Un’eco delle parole di Gino Strada, fondatore di Emergency, che per anni ha denunciato il prezzo umano delle guerre, e che qui trova ulteriore conferma. Civili che raccontano, tra lacrime e dignità, le violenze subite e la determinazione a non abbandonare la loro terra, per quanto funestata. «Questa è la mia casa» è una delle frasi che più di altre risuona nel documentario, sottolineando l’attaccamento viscerale degli ucraini alla loro patria.