Avevano solo tra i 18 e19 anni quando nel 2006 Alex Turner,Jamie Cook, Nick O’Malley e Matt Helders, con Whatever People Say I am, That’s What I m not, hanno venduto 364 mila copie in una settimana, aggiudicandosi così il record come album di debutto più venduto nella storia della musica britannica (spodestando gli Oasis).
Negli anni a seguire gli Arctic Monkeys sono riusciti a rinnovare il proprio sound passando dai riff taglienti ed incisivi degli esordi ad un mood piû pacato e suoni morbidi e caldi che ben si legano alla linea vocale dell’enigmatico Turner. Oggi la band indie-rock che si è formata ad High Green, periferia della città di Sheffield, nel nord dell’Inghilterra, può contare su una base solida di fan devoti e appassionati, pronti a sfidare il caldo torrido di Roma per assicurarsi un posto in prima fila all’Ippodromo di Capannelle. A (surri)scaldare il pubblico prima del loro arrivo la band svedese degli The Hives e WIllie J Healey.
La voglia di iniziare con il botto è percepibile fin dalle prime battute di “Sculptures of anything goes” e poi il concerto prende il via con Matt che si sfoga alle batterie con Brianstorm, seguita immediatamente da Cornerstone. Molti fan che dichiarano di amare gli Arctic Monkeys in realtà sono rimasti fermi ai primi dischi. Dopo AM, un omaggio a “VU” dei Velvet Underground del 2013, che ha rappresentato la quintessenza del songwriting di Turner, e Tranquility Base Hotel & Casino, pubblicato nel 2018, il recente The car, album che porta il gruppo alla completa maturità, richiede un ascolto più lento per essere interiorizzato.
Come si traduce questo in un concerto dal vivo? Con una scaletta fitta e ponderata che vede dare spazio a qualche rielaborazione, tra cui 505, Four Out Of Five e la nostalgica Fluorescent Adolescent, un titolo scoppiettante per una riflessione agrodolce sul passare del tempo e sulla rapidità con cui le cose possono cambiare. C’è spazio anche per il romanticismo di Mardy Bum, innervata appena da qualche bagliore di chitarra elettrica, e chicche come l’ironico e disilluso Why’d You Only Call Me When You’re High? un brano caratterizzato da un’inconfondibile linea di basso che ci ricorda di non chiamare gli ex quando siamo ubriachi.
Camicia bianca, jeans e stivaletti, la folla cede al fascino irresistibile del suo frontman. Corpi che rimbalzano all’unisono sul terriccio polveroso dell’Ippodromo di Capannelle ,scandiscono le hit degli Arctic Monkeys verso il classico finale con bis affidato a tre brani che rimandano allo stile garage rock e punk dei primi lavori del gruppo. Do I Wanna Know?, con un giro di chitarra strappaapplausi, I Bet You Look Good On The Dancefloor e per finire R U Mine?
I Monkeys hanno fatto molta strada, ad ogni nuovo album si mostrano in una diversa veste di suoni. Ma c’è sempre una certezza, ed è Alex Turner e il suo geniale uso di metafore profonde per trovare un modo più poetico e meno sfacciato di raccontare le nostre ossessioni e i nostri istinti primordiali.
La scaletta del concerto
Sculptures of anything goes”
“Brianstorm”
“Snap out of it”
“Don’t sit down ‘cause I’ve moved your chair”
“Crying lightning”
“Teddy picker”
“The view from the afternoon”
“Four out of five”
“Why’d you only call me when you’re high?”
“Arabella”
“Fluorescent adolescent”
“Perfect sense”
“Do me a favour”
“Cornerstone”
“There’d better be a mirrorball”
“505”
“Do I wanna know?”
“Body paint”
“I wanna be yours”
“I bet you look good on the dancefloor”
“R u mine?”