Ben lontani dal loro periodo di massimo splendore, i Guns N ‘Roses si sono presentati sul palco del Circo Massimo di Roma alle 20 45 in punto, per l’unica data italiana del loro tour europeo. Un segno di ritrovata professionalità dalla loro riunione del 2016, che ha segnato la fine dell’aspra faida di ventennale durata tra la band e il cantante Axl Rose.
Sul prato dell’anfiteatro romano, si agita fin dal pomeriggio un pubblico composto per la maggior parte da persone oltre i 30 anni, ma anche da adolescenti e ventenni, non ancora nati durante il periodo di massimo splendore della band tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. Un decennio che li ha consacrati nel ruolo di dannati del rock con il successo mondiale arrivato con i suoni diabolici di Appetite for Destruction del 1987.
La band era così fuori controllo che la loro casa discografica dichiarò: “Ce la faranno, se sopravvivono. Eppure, in qualche modo, ce l’hanno fatta”. L’album è diventato il debutto più venduto nella storia della musica americana.
Non entrando nel merito della forma vocale, di cui si è parlato fin troppo, Axl Rose, in una t-shirt con l’ispettore Callaghan, si muove, anzi ondeggia come sempre, da una parte all’altra del palco senza inciampare o perdere l’equilibrio. Slash indossa il suo caratteristico cappello e occhiali da sole e sembra che per lui il tempo si sia fermato. I suoi assoli di chitarra restano i più belli della storia del rock. Duff McKagan e Dizzy Reed agli occhi e alle orecchie dei fan più accaniti restituiscono originalità ai GnR degli anni ’80 e ’90. Alla chitarra ritmica Richard Fortus, con una maglietta di Diabolik, un vero uomo di spettacolo sul palco. È difficile distogliere lo sguardo da lui, un caleidoscopio costante di pura potenza e caos musicale.
Si parte con It’s So Easy e Mr. Brownstone, quest’ultima diventata una canzone simbolo dei Guns N’ Roses, della loro irrefrenabile tendenza alla trasgressione.
Dalla cover di Slither, un omaggio doveroso ai Velvet Revolver, si passa ai travolgenti incubi metropolitani di Welcome To The Jungle.
È una scaletta che sembra assecondare i caratteri umorale dei suoi membri. La ballad “Civil War” si trasforma in un inno di solidarietà ucraina. “Guarda il sangue che stiamo versando, guarda il mondo che stiamo uccidendo”, urla Rose.
La dedica della loro celebre cover di ” Knocking On Heaven’s Door” a Silvio Berlusconi, coglie di sorpresa il pubblico. Sarebbe stato più interessante raccontare l’anedotto dietro la decisione di incidere una cover del famoso brano di Bob Dylan. Ma questa è un’altra storia.
Un concerto che vale anche solo per le emozioni che ancora suscitano due power ballad di eterna bellezza, Estranged e, in particolare November Rain, creando una perfetta sintonia con il pubblico.
Il sipario cala con uno dei singoli più riusciti nella musica rock, “Paradise City”. Insomma, uno spettacolo che nel suo insieme è stato un vero trionfo, a dimostrazione che la nostalgia è ancora capace di riempire concerti.