Gli abusi sui genitori non sono un argomento facile da affrontare in un film, ma la regista belga Emmanuelle Nicot lo fa con grande sensibilità nel suo debutto L’amore secondo Dalva, nei cinema dall’11 maggio. Con due premi a Cannes alla Semaine de la Critique e le ovazioni della critica internazionale, il film è uno degli esordi più dirompenti della stagione, un film di straordinario impatto emotivo che ha rivelato il talento della regista Emmanuelle Nicot e della giovanissima protagonista Zelda Samson.
Dalva ha dodici anni e si sente una donna, non una bambina: è quanto ripete agli assistenti sociali dopo l’arresto del padre, di cui si dichiara innamorata malgrado l’uomo abbia a lungo abusato di lei. Sarà grazie a una casa famiglia e all’amicizia di una coetanea che Dalva lentamente imparerà a guardare il mondo da una prospettiva diversa e a riappropriarsi della propria infanzia.
La regista racconta che l’idea del film nasce da un insieme di spunti diversi. Innanzitutto ci sono i temi dell’influenza e del controllo. Durante le riprese di À l’arraché, il suo ultimo cortometraggio, ha passato molto tempo in un centro di prima accoglienza dove adolescenti e. bambini con comprovati abusi in famiglia, continuavano in ogni caso a stare dalla parte di quest’ultima, sostenendo che il sistema giudiziario sbagliasse a tenerli in un centro. “Due di questi ragazzini li ho seguiti per anni, arrivando a scoprire il loro viaggio dall’idea di separazione dalla famiglia a quella di vera e propria “liberazione”. A questa esperienza si sommano poi i racconti del padre di un amico che lavora come assistente sociale con i giovanissimi”.
Dalva è completamente sotto l’influenza del padre, fino a quando questo non viene arrestato. Scopriamo infatti che non è mai andata a scuola, che è cresciuta senza la presenza della madre e senza riferimenti con il mondo esterno. Per far fronte a questa situazione Dalva si è rifugiata in una negazione estremamente potente, raccontando a se stessa che lei e suo padre vivono una storia d’amore che nessuno può capire. Dalva ha interiorizzato l’idea che è in quel luogo e con quell’aspetto, vestendosi e truccandosi come la donna da cui il padre è stato abbandonato, che può ottenere l’amore di quest’ultimo. Per mantenere questo amore, di cui ha un vitale bisogno – dal momento che non riceve amore da nessun altro – non ha mai messo in discussione questa situazione. Il risultato è un dramma straziante su come ci si sente a vivere interamente secondo le regole di qualcun altro. Quando la incontriamo per la prima volta, Dalva non capisce l’amore distorto di suo padre perché è l’unico che abbia mai conosciuto.
Questo è il messaggio centrale del film di Nicot e lei trasmette con un realismo e un’autenticità di una regista di lungo corso. Questa giovane regista lavora nella tradizione dei colleghi registi belgi Jean Pierre e Luc Dardenne, celebrati per il loro lavoro sobrio e socialmente consapevole. Non c’è da stupirsi che il suo debutto abbia vinto il premio Golden Camera lo scorso anno a Cannes. È un tour de force.