In Profeti, il nuovo film di Alessio Cremonini (Sulla Mia Pelle del 2018). Sara (Jasmine Trinca) è una giornalista italiana che è andata in Medio Oriente per raccontare la guerra dello Stato Islamico, Nur una foreign fighter radicalizzata a Londra che ha sposato un miliziano e ora vive nel Califfato. Sara viene rapita dall’Isis e in quanto donna, in quanto essere inferiore che ha dignità solo se sottomessa al maschio, non può stare in una prigione dove sono presenti anche degli uomini. Per questo motivo viene data in custodia ad una sua “pari”: ad una donna. Nur diventa la sua carceriera.
La casa di Nur, la sua prigione. E sarà proprio quella casa nel mezzo di un campo di addestramento dello Stato Islamico il luogo dove Sara e Nur si confronteranno. Un confronto quasi impossibile che si trasforma in guerra psicologica mentre attorno scoppiano le bombe e i nemici vengono bruciati vivi per vendetta. Un confronto fatto di silenzi, di sottili ricatti, e dal progressivo tentativo di Nur di convertire Sara.
Il film di Cremonini, nei cinema dal 26 gennaio, si avventura su un terreno scivoloso: quali sono i motivi che spingono centinaia di ragazze a sposare la causa del jihad? Vendute al mercato come merce inanimata e rese schiave dei miliziani (il destino di migliaia di yazide), obbligate nell’abbigliamento e dentro le mura domestiche (quello di centinaia di migliaia di siriane e irachene nelle zone occupate e amministrate dallo Stato Islamico), le donne non hanno solo ruoli passivi.
L’incontro tra le due donne serve al regista per riflettere su un mondo spaccato a metà dove le donne sono vittime e carnefici. Per molti è già difficile comprendere come sia possibile per tante donne rinunciare ad una buona dose di diritti e libertà personali ma diventa ancora più complesso accettare che proprio le donne diventino complici della radicalizzazione e dell’espansione della causa jihadista. Profeti attraverso una regia rigorosa dà voce a vittime. E carnefici. E come donne siano su entrambe i fronti del conflitto.