L’eroe, l’antieroe e l’eroina. Non manca nulla nel thriller psicologico che segna il ritorno alla regia di Jane Campion che qui presenta “Il potere del cane”, una tragedia western con Kirsten Dunst nei panni dell’eroina disperata.
La più rappresentativa delle donne registe porta in concorso un film affascinante dove gelosia, invidia, odio, anche contro sé stessi, e una latente omosessualità perenne negata, la fanno da padroni. E la gentilezza viene calpestata continuamente. Nel libro, da cui trae ispirazione il film, questi aspetti sono nettamente sottolineati, nel film appena accennati.
E’ una storia potente e drammatica, ricca di colpi di scena. Amore, odio, violenza, mascolinità e sopravvivenza sono il centro de Il potere del cane (The Power of the Dog) – film targato Netflix in concorso al Festival di Venezia 2021 che la regista ha adattato dall’omonimo bestseller di Thomas Savage uscito nel 1967. Libro anticipatore di tematiche come la sessualità repressa
Siamo negli anni trenta. Fra le montagne, vallate e spazi vuoti del Montana l’allevatore di bestiame Phil Burbank (Benedict Cumberbatch) è un cowboy solitario, rude e maschilista. Quando l’impacciato fratello George (Jesse Plemons) sposa la vedova Rose (Kirsten Dunst), venuta a vivere nel ranch di famiglia, Phil inizia una campagna implacabile per distruggere la nuova arrivata e suo figlio Peter (Kodi Smit-McPhee). Ma deve fare conti con un improbabile protettore e i suoi demoni tenuti per troppo tempo nascosti.
Jane Campion si muove agilissima dentro i territori pericolosi dello psicodramma, con echi di Brokeback Mountain, dove la speranza individuale è costantemente messa a dura prova. Una strenua battaglia per essere liberi di affermare sé stessi in un’epoca dove l’omosessualità viene costantemente repressa e non può che essere bollata come omofobia. E’ scontro tra caratter, da un lato la fragile e gentile Rose con le sue insicurezze e frustrazioni, dall’altro il mostruoso, cinico, Phil.
Campion ci introduce al crudo realismo sia dalle prime immagini, con ampi scenari fotografati con i colori tipici del genere western, sia verbalmente, Phil è uno spietato realista ed un essere (uomo è un po’ troppo) assolutamente non incline alla gentilezza linguistica.
Un film attuale, crudo, violento ed indimenticabile, come nella tradizione Campion.
Phil, Benedict Cumberbatch, è un maschio alpha e aggressivo che sfrutta il suo potere e non conosce gentilezza né amore. «È solo, oppresso, isolato. La sua tossicità è il risultato di come è cresciuto. Non lo giudico, né condivido ma lo capisco», ha detto Benedict Cumberbatch in merito al suo villain.
«Non ha redenzione e questo fa parte della sua tragedia personale. Non ho mai pensato che ci sia autenticità nella sua vita. Il maschilismo tossico lo riconosci, persone danneggiate danneggiano gli altri, anche i politici lo fanno, non deve essere considerato il solo mostro. Non è solo il cattivo della storia. È una figura poetica, complessa».
Il suo contraltare femminile è un’unica donna in mezzo a tanti maschi, Rose, con una personalità enigmatica e dalle tante sfumature.
Ingabbiata in una vita che l’ha delusa, trova conforto nell’alcool. «Ho creato i miei demoni – dice Kirsten Dunst – la mia Rose rappresenta tutto il dolore che Phil ha dentro. Jane mette sempre qualcosa di sensuale nei suoi film e nella sceneggiatura. C’è una profondità e sensibilità straordinarie nei suoi personaggi femminili» ha sottolineato l’attrice, da quattro anni felicemente fidanzata con il collega di set Jesse Plemons, il marito anche nel film, da cui il 7 maggio 2018 ha avuto anche un figlio.
Esattamente 12 anni fa, con Bright Star (2009) la regista e sceneggiatrice neozelandese firmava il suo ultimo lungometraggio. «Il romanzo di Thomas Savage ha avuto un impatto fortissimo su di me. È una storia diversa che lavorava sulla psiche. Ho pensato di farne un film. L’ho immaginato e realizzato» ha detto Campion durante la conferenza stampa di presentazione del film.
Era in realtà rientrata con la serie Top of the Lake (2013-2017), “mi è piaciuto lavorare con le serie, mi piace creare mondo e tonalità e svilupparla. Netflix mi ha permesso di scegliere che produzione fare, ma ora sono tornata alla mia libertà espressiva nel cinema”