Il documentario sul concerto “Amazing Grace” ci fa entrare in una chiesa in cui è accaduto qualcosa di magico: per due giorni alla New Temple Missionary Baptist Church di Los Angeles nel 1972, Aretha Franklin – già una superstar per aver vinto diversi Grammy – ha registrato il leggendario album gospel “Amazing Grace”, eseguendo dal vivo davanti a un pubblico a maggioranza nera, in un momento in cui le battaglie per i diritti civili infuriavano negli Stati Uniti, brani che aveva iniziato a cantare fin quando era bambina.
Al regista Sydney Pollack era stato affidato il compito di filmare quello che avrebbe dovuto essere il prossimo grande documentario musicale, come “Woodstock” due anni prima, ma a causa di una serie di problemi tecnici e legali, il filmato è rimasto fermo per 47 anni. Faticosamente riassemblato dal produttore Alan Elliott (Pollack, che non ha mai perso le speranze di realizzare il progetto, è morto nel 2008), “Amazing Grace”, in sala dal 14 al 16 giugno con Adler Entertainment, ci mostra un’artista all’apice della sua carriera musicale.
Sostenuto dal Southern California Community Choir, Aretha esegue una dozzina di canzoni. Dall’aspetto crudo e caotico, le imperfezioni del film servono solo ad arricchire ed evidenziare la voce sbalorditiva di Franklin. In tanti, a cominciare dallo stesso reverendo, hanno le lacrime agli occhi. Si intravedono tra il pubblico in visibilio, alcune celebrità. Un giovane Mick Jagger che tenta inutilmente di mimetizzarsi e la star del gospel Clara Ward.
Franklin è morta nel 2018, ma la sua voce vive in chiunque l’abbia sentita. In questo film gioioso e indimenticabile, presentato come evento speciale della Berlinale, è diventata immortale.