Con “Nell’infinitezza”, Roy Andersson, torna ad affrontare temi per lui centrali come l’ottimismo della giovinezza, ma anche la guerra, la disperazione e l’assenza di Dio. Guardare un suo film significa entrare in uno stato ipnotico in cui l’intera storia metafisica dell’Europa viene messa a fuoco. Non molto divertente, ma meravigliosamente triste, cupamente comico e ogni tanto illuminato da una gioiosa assurdità. Ogni suo film è una raccolta di quadri di esistenza urbana perfettamente fotografati, una sovrapposizione di tableau vivant, per riflettere sulla vita umana in tutta la sua bellezza e crudeltà, splendore e banalità. I momenti irrilevanti assumono la stessa importanza degli eventi storici: una coppia galleggia su una città di Colonia dilaniata dalla guerra; sulla strada per una festa di compleanno, un padre si ferma ad allacciare le scarpe della figlia sotto la pioggia battente; ragazze adolescenti ballano fuori da un caffè; un esercito sconfitto marcia verso un campo per prigionieri di guerra. Contemporaneamente un’ode e un lamento. La telecamera non si muove mai mentre piccoli esseri umani perplessi attraversano l’inquadratura da una parte all’altra, contemplando il loro destino.
“Nell’infinitezza”, nei cinema dal 27 maggio con Wanted Cinema, una placida voce femminile commenta ogni scena come la Scheherazade ne “Le mille e una notte”. “Ho visto un giovane che non aveva trovato l’amore”, “Ho visto un uomo che non si fidava delle banche “,” Ho visto una donna che amava lo champagne. Tanto. Tanto.” I personaggi si muovono lentamente, come se temessero di essere scoperti.
“Il tema principale del mio lavoro è la vulnerabilità degli esseri umani – ha raccontato il regista svedese che con il bellissimo “Una storia d’amore”, si è aggiudicato quattro premi al Festival di Berlino. “Penso che sia un atto di speranza creare qualcosa che mostri vulnerabilità. Perché se sei consapevole della vulnerabilità dell’esistenza, puoi diventare rispettoso e attento verso ciò che hai. Volevo sottolineare la bellezza dell’esistenza, dell’essere vivi. Ma ovviamente, per ottenere questo scopo, devi avere un contrasto; si deve mostrare il lato brutto, crudele, dell’esistenza. Per esempio, guardando alla storia dell’arte, molti dipinti sono decisamente tragici. Ma anche se raffigurano scene crudeli e tristi, dipingendole gli artisti hanno in qualche modo trasferito l’energia e creato speranza”.
Il regista Roy Andersson, oltre al Leone d’argento per questo film, ha vinto il Leone d’oro alla Mostra del Cinema nel 2014 con il lungometraggio Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza.