Stiamo con il Campiello dei Letterati e non con quello dei Lettori. Senza se e senza ma. Come redazione di TheSpot.news denunciamo la nostra assoluta partigianeria. Stiamo con la Giuria dei Letterati che ha selezionato nella cinquina dei finalisti Con passi giapponesi di Patrizia Cavalli, pubblicato da Einaudi, ma non con la Giuria dei 300 lettori che ne ha decretato l’ultimo posto nella finale assoluta. Il popolo, si sa, non sempre ha ragione, quasi mai, e spesso sbaglia. Spiacenti, scegliamo l’élite.
Certo. Che la massima poeta italiana vincesse il Campiello con il suo primo libro in prosa sarebbe stato un controsenso in sé. Ma grazie, Paolo Mieli e giuria dei Letterati, tra i quali Philippe Daverio, per averci provato. Uno di quei non sense così frequenti nella vita e nella poesia, che il senso lo rivelano eccome.
Eh no, gli altri libri non li abbiamo letti. Abbiamo un pregiudizio positivo per Cavalli, punto.
Eh sì, il primo racconto omonimo che apre Con passi giapponesi, edito da Einaudi, è ostico. Ma quanto stordimento, una perdita di sensi. Una porta di Sesamo sulla potenza della lingua italiana. “Mitragliava sillabe”, “s’impennava di trilli”, “le dentali a baionetta”. Ogni parola ci si ferma a soppesare.
Questo lo ha spiegato bene Mario Barenghi su Doppiozero: “Che i poeti – i poeti veri – scrivano bene anche in prosa, non è una novità. Ma nel libro della Cavalli c’è qualcosa di più e di diverso. C’è una capacità di scoprire le risorse espressive insite nelle scelte lessicali, nei giri sintattici, nella prosodia, che rende alcune pagine assolutamente esemplari. Volete un motivo per studiare l’italiano? Per innamorarvi della lingua italiana?”.
Eh, siamo davanti non ad una storia in bella copia. Siamo davanti ad una ricerca in prosa della più grande poeta italiana. Il proprio vissuto, la propria autobiografia, il quotidiano, Roma e la piazza italiana della Patria, epifanie lontane sono il tessuto in cui la lingua cerca di disegnarsi e di dare forma alla vita. A Roberta Scorranese del Corriere che le domandava come fosse nato il libro di prose, Cavalli ha risposto: «Non c’è stata una vera intenzione. La prosa fa parte di me, io ho sempre scritto molto, ho uno stanzino pieno di note e appunti. I testi qui raccolti sono brevi, almeno per la maggior parte, indago il linguaggio».
«Nella parola scritta, ci si rivela agli altri ci si mette nelle mani degli altri» ha scritto Patrizia Cavalli nel racconto Immobilità e disordine, incluso nel libro, e illuminante sulla sua arte.«Scrivo poesie perché nella poesia c’è più ambiguità che nella prosa (NON E’ VERO), – afferma – ma nella poesia resta sempre un mistero grande o piccolo, resta cioè una zona oscura che si sottrae al giudizio logico».
Se le poesie sono come “piccoli sassi”, i racconti di Con passi giapponesi, sono come piccoli scrigni che contengono lo stesso mistero. «Per riconquistare l’ordine e la sensazione della propria interezza, – continua Cavalli – bisogna ritrarsi altrove, e cioè non avere più luoghi, mettersi in un’astrazione che tutto contempla senza mai essere».
“Con passi giapponesi è un libro con molti centri, screziato, irregolare. – ha recensito Emanuele Trevi sempre sul Corriere – Vi convivono il buffo e il tragico, il puntiglio dell’osservazione minuta, l’esercizio della memoria. Come sanno i tanti lettori della poesia di Cavalli, il suo è un temperamento lirico assoluto”.
E ora la ribellione dei tantissimi fan di Cavalli ci starebbe pure, con cortei e striscioni. La protesta delle centinaia e migliaia che ne hanno mandato i versi a memoria, che sulle chat si rispondono con citazioni patriziacavalliane: “Sarebbe un pezzo di teatro di successo!”.
Ora che i seguaci hanno superato la “secchiata ghiacciata della prosa”, come ha scritto su Minima et Moralia Anna Toscano, ora sono temprati e pronti a tutto. E noi con loro.
E certamente sapremo coinvolgere un’ampia schiera di ammiratrici e devoti, giovani e meno giovani, gattare e gatti, ambulanti e senzatetto, viaggiatori intelligenti e non intelligenti, stilisti e ristoratori, musicisti e cantautori, artisti, artigiani e commesse, parenti di primo, secondo e terzo grado. Tutti quei pellegrini dell’esistenza che, inseguendo Cavalli, imparano a guardare poeticamente alla vita.
“Patrizia Cavalli mostra fiera la propria antipatia, anche la vendetta, la vanità – ha scritto Annalena Benini su Il Foglio recensendo il libro – e in cambio sa offrire l’anima anche a un paio di scarpe, a una colonna di porfido, sa prendere in giro se stessa in un modo feroce, e sempre con grande amore, di sé e delle parole. La comicità e la tragedia camminano insieme, con passi giapponesi”.
Piazza San Marco con millequattrocento persone a Venezia, scenario della consegna del Premio Campiello, era un gran colpo d’occhio, ma tu, Patrizia, sei di un altro pianeta. Alzati e vai, attraversa fiera la piazza, noi ti seguiremo, insieme ai Letterati e alla tua gente, in folta schiera. Magari verrà anche Francesco Guccini.