Il basket non professionistico nasce e vive nella strada dove tante sono le regole non scritte: a cominciare dall’esclusione delle donne, che intendono invece riprendersi i loro spazi di libertà, in campo e fuori. Un percorso di condivisione di energie e passioni, una rete di solidarietà in cui la sorellanza è l’antidoto alle difficoltà quotidiane all’interno delle diverse comunità.
E’ questa la trama di Sisterhood, il film di Domiziano De Fulvio, in anteprima mondiale all’Ortigia Film Festival. Roma: Le Bulle, questo il nome della squadra che ha scelto di allenarsi all’interno di uno spazio occupato. Il loro motto è: non chiamateci mamme! Un gruppo di donne adulte che ha sentito il bisogno di creare una squadra femminile e che si autodefinisce femminista. Nata in maniera spontanea, vuole mandare un segnale politico in risposta al razzismo, al clima di violenza e oppressione e al retaggio della cultura cattolica così presenti oggi in una città come Roma.
New York City: la mecca del basketball. Ladies Who Hoop è un gruppo di donne differenti per età, etnia, classe sociale che condividono la passione per questo gioco praticato nei campetti di quartiere. Nella città per antonomasia più frenetica e dedita al profitto, queste donne hanno creato relazioni intense e trasmettono tutto questo alla squadra di bambine che allenano gratuitamente grazie al progetto da loro creato: Future Ladies Who Hoop.
Campo rifugiati di Shatila, Beirut: Real Palestine Youth F.C. Sono ragazze tra i 16 e i 20 anni Palestinesi, nate nel Campo, e Libanesi che vivono in città. Il bisogno di creare una squadra per sole donne in questo contesto è sicuramente più forte rispetto alle altre due squadre. In questa comunità fino a pochi anni fa non era concepito che una donna potesse fare degli sport che nell’immaginario collettivo sono considerati maschili, e soprattutto l’aver creato un gruppo di sole donne non per imposizione religiosa e sociale ma per la loro volontà.
Così ha dichiarato la regista esordiente Domiziana De Fulvio: “Questo progetto nasce da un punto di vista personale. La cultura di strada, che ha contribuito alla mia formazione tra film, arte e vita vera, ha suscitato in me l’interesse sui vari aspetti dell’aggregazione di gruppi femminili. Vivendo in prima persona l’inizio di un’attività sportiva in età adulta ho trovato interessante ricercare delle affinità, dei punti di unione con le altre realtà che mi sono trovata ad incontrare. Così prima di iniziare a filmare queste donne ho avuto l’occasione di conoscerle sul campo di gioco. Ed è stato inevitabile, dopo aver trascorso del tempo con loro, sentire la necessità di girare questo documentario. E così ho voluto tirar fuori tutta la forza della parola “Sista”.