Nelle sale dal 18 dicembre, Star Wars: L’Ascesa di Skywalker, l’avvincente conclusione dell’iconica saga degli Skywalker, tenta la folle impresa di legare insieme personaggi ed eventi per realizzare un’opera spaziale che abbaglia la vista.
Fin dall’inizio, si pensava che in questo capitolo si sarebbe prestata maggiore attenzione alla principessa Leia, ma dopo l’improvvisa morte di Carrie Fisher avvenuta tre anni fa, i produttori sono stati chiamati a coreggere la rotta per la battaglia finale per la libertà e scongiurare il rischio di presentare l’ennesimo episodio di una saga dove tutto si è già visto e stra-rivisto, J.J. Abrams stesso.
Con il nono capitolo di quella saga iniziata nel 1977, il regista non solo riporta il film allo stile del primo capitolo della nuova trilogia, “Il risveglio della Forza”, ma evoca anche una sorta di sacro sentimento che ci vuole far credere di vivere in un’era molto speciale ma destinata a finire.
Torniamo così nei boschi di Endor per poi arrivare al capanno degli zii di Luke Skywalker nel deserto di Tatooine. Tornano i Jedi per guidare Rey (Daisy Ridley) nella sua sfida finale al male e vecchie glorie della saga. In alcuni tratti il film si trasforma in modo inaspettato. L’origine di Rey viene finalmente scoperta. Qualcuno si sacrifica. Qualcuno muore. Il dolore è vicino, ma lascia spazio anche a qualcos’altro. Mentre con Adam Driver/Kylo Ren, l’arco narrativo di Harrison Ford/Ben Solo sembrerebbe essersi concluso.
L’umorismo è tenuto a bada e le scene d’azione si muovono attraverso le pianure con prospettive epiche sature di fato come quando Mosè ha diviso il Mar Rosso. Per tutto il film si avverte l’ansia di dare il massimo risalto ad aspetti più filosofici che da sempre rappresnetano i tratti caratteristici della saga: sconfiggere la rabbia e la paura dentro di noi, perdonare e darsi una seconda possibilità.
“L’ascesa di Skywalker” si sforza insomma di fare i conti con la pericolosa solitudine che si annida dentro di noi, lasciando spazio ad un senso di speranza e dando all’anima abbastanza energia per espandersi nell’eternità.